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derby di coppa

Inter-Milan è stato il derby dei paradossi

Giuseppe Pastore

Nella prima semifinale di Coppa Italia, i nerazzurri vincono 3-0 pur subendo per parte della partita la squadra di Pioli che crea gioco ma non segna. È la lezione pratica e spartana di Conte riadattata per vincere da Inzaghi. 

I nodi che hanno afflitto il Milan in questi due mesi di carestia offensiva si sono ingarbugliati tutti insieme in una serata paradossale per molti versi. Paradosso numero uno, il risultato: lo 0-3 di Coppa Italia è stato sia lancinante per ovvi motivi (un derby è sempre un derby) sia del tutto indolore perché l'obiettivo-scudetto, reso complicato dagli ultimi pareggi contro Bologna e Torino, non si è spostato di un millimetro. Paradosso numero due: il Milan ha ritrovato freschezza atletica, ha corso e mosso le proprie truppe fino al confine dell'area di rigore fino all'ultimo minuto, ma si è schiantato per l'ennesima volta contro l'ormai patologica pochezza individuale dei propri trequartisti. La mole di gioco creata anche contro la miglior difesa della Serie A dimostra che non è la fase offensiva del Milan a essere scarsa, ma le individualità chiamate a concretizzarla: così Pioli è costretto a finissime acrobazie diplomatiche per non addossare il peso del risultato agli sbagli di Messias, Kessié, Saelemaekers, Leao, Brahim Diaz e tutti quelli che ci hanno provato e hanno sempre fatto cilecca, con tiri fiacchi, scoordinati, fuori bersaglio, fuori fuoco o addirittura addosso a un compagno, come nel caso di Tonali con Giroud a metà primo tempo. Una sconfortante esercitazione di tiro a salve che dura ormai da mesi e basta leggere i numeri del girone di ritorno per rendersene conto: l'unico a salvarsi è l'altalenante Leao, a quota 5 gol. Nonostante il nome da profeta, Messias non è certo Mohamed (nel senso di Salah): eppure i suoi tre gol a spizzichi e bocconi sono meglio del lungo nulla di Saelemaekers. Poi zero Brahim Diaz, zero Krunic, zero Kessié, un solo gol lo stralunato Rebic. Nel 2022 l'intero centrocampo ha messo insieme solo una rete, quella di Bennacer a Cagliari. Non è stato mai chiarito da dove provenga l'infelice scelta invernale di non comprare né un esterno destro né una punta, se dalla proprietà o dalla dirigenza sportiva; ma nel frattempo la prevedibile latitanza dell'antico Zlatan ha lasciato l'intero peso dell'attacco sulle pur possenti spalle di “Atlante” Giroud, il quale – servito poco e male – fa quel che può. Chissà se in Bahrein hanno tratto le stesse conclusioni: questo Milan giovane e ottimista che rischia di finire la stagione con il caricatore inceppato è un po' un peccato, oltre che uno spreco.

 

Così capita che ogni tanto gli episodi si allineino un po' vigliaccamente dalla parte dei più forti, e più forti sono certamente i vari Skriniar, Brozovic, Barella e Lautaro, per tacere del sommo Perisic che per chi scrive è un serissimo candidato alla palma di MVP stagionale. Nonostante il filotto di quattro vittorie iniziato in casa Juve, l'Inter continua a singhiozzare calcio, senza nemmeno sognarsi di avere la fluidità dei tempi migliori; ma ha ritrovato cattiveria, fiducia e soprattutto la capacità di adattarsi alle situazioni senza subirle. A febbraio, dopo aver dominato i primi 60 minuti del derby, si era ritrovata con un pugno di mosche soprattutto per la propria dabbenaggine. Ieri, approfittando del velocissimo gol di Lautaro, si è comportata come aveva fatto Conte nel derby di campionato del 21 febbraio 2021: ha abbassato il baricentro, ha lasciato il pallino al Milan, ha tratto ulteriore forza dalla sterilità dell'avversario e il risultato finale è stato lo stesso. Come diceva quel regista al giovane Sorrentino nel suo ultimo film, “Schisa, alla fine torni sempre a te!”. Anche l'Inter alla fine torna sempre a sé stessa, accettando nella fase calda di stagione anche di farsi prendere serenamente a pallonate come a tratti è accaduto ieri sera, fiduciosa che i suoi levrieri ribalteranno l'azione in cinque secondi. È la lezione pratica e spartana di Conte, l'uomo che – con tutti i suoi manifesti difetti – ha cambiato la testa di una squadra che in dieci anni non aveva racimolato nemmeno lo straccio di una finale di Coppa Italia; Inzaghi si sta accodando volentieri limitandosi a qualche pennellata laterale come il ritorno in pianta stabile di Correa, che continua ad avere le polveri bagnatissime ma con tanto campo davanti è molto più utile di Dzeko. Ora però il calendario dell'Inter torna a intasarsi come un'autostrada post-Pasquetta. Non sarà il tour de force che le è costato punti ed energie fisiche e morali tra febbraio e marzo, ma è possibile che i 14-15 titolari di Inzaghi arrivino a metà maggio con la lingua di fuori. E a quel punto, se lo scudetto non sarà ancora stato vinto per dispersione della concorrenza, può valere tutto.

 

Un ultimo appunto sul cervellotico arbitraggio di Mariani nel derby, venuto 24 ore dopo l'altrettanto cervellotico arbitraggio di Di Bello in Napoli-Roma. Che l'Italia sia il paese degli azzecca-garbugli lo scriveva Alessandro Manzoni già duecento anni fa, quindi non abbiamo dubbi che presto o tardi arriverà un'intervista di un qualche vertice della classe arbitrale che assolverà e garantirà sulla bontà di ogni singola interpretazione. Del resto in tre mesi l'unico poveraccio che ha pagato per tutti ed è sparito dalla circolazione è stato proprio lo sventurato Serra, reo non tanto di aver preso un abbaglio enorme in Milan-Spezia quanto di aver ammesso l'errore con un imperdonabile impeto di franchezza e addirittura – pare – con qualche lacrima. Il giudizio del VAR continua a essere portato in processione, indossato come un paramento sacro, senza dare alcuna spiegazione al pubblico pagante né tantomeno ai calciatori, irritati e sbalestrati da decisioni palesemente contraddittorie: un mese fa si invocava maggior discrezione nel ricorso alla tecnologia e ci si raccomandava di privilegiare il giudizio dell'arbitro di campo, oggi si è di nuovo tornati a controllare i fuorigioco ipotetici basati sui fermo-immagine. C'è molta confusione. Gli arbitri la avvertono, la soffrono, mettono in mostra le loro umane debolezze e prestano il fianco a proteste, perdite di tempo, altre proteste. Ultimamente abbiamo riempito lunghe pagine di analisi sul declino degli attaccanti italiani, degli stadi, dei centri d'allenamento, del famoso sistema-calcio. Bisognerà prima o poi fare un ragionamento analogo anche sui nostri direttori di gara, che in questo girone di ritorno si stanno esprimendo a livelli di mediocrità di cui non si vede il fondo.

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