Giustino Danesi, abruzzese nato il 6 ottobre 1967, al lavoro con il Chacho (foto Olimpia Milano) 

Il Foglio sportivo

Giustino Danesi, l'uomo che parla ai muscoli

Umberto Zapelloni

Serve più che il fisico per vincere. "Devo trovare le chiavi giuste per farmi ascoltare e, trascorrendo davvero tanto tempo insieme, una delle chiavi del mio lavoro è quella di capire bene come arrivare a loro". Parla il preparatore dell’Olimpia che fa leggere (e correre) i giocatori 

Questa è la storia di un preparatore atletico che non cura soltanto i muscoli. È la storia di un uomo che mentre ti spiega l’esercizio da fare per migliorare la reattività in campo, ti suggerisce un libro da portarti dietro in trasferta, una musica per farti compagnia, un film su cui discutere. Giustino Danesi, Justin per gli amici che parlano inglese (e non solo) è, con uno dei vice di Messina, Mario Fioretti, uno dei pochi uomini dell’Olimpia che hanno vinto tutti i trofei targati Armani. Ai quali Justin aggiunge quelli vinti in giro per l’Italia. In tutto fanno 19. E non sono pochi, anche se il più bello sarà sempre il prossimo. Danesi è arrivato a Milano nel 2013 insieme a Luca Banchi con cui aveva lavorato a Livorno e Siena. Non se ne è più andato, riconfermato da tutti gli allenatori che si sono poi alternati sulla panchina milanese, tutti santoni o quasi come Repesa, Pianigiani e Messina… 

 

“Una delle cose belle del mio lavoro è che avendo sempre a che fare con dei giovani, oltre a costringermi a stare in forma fisicamente e a tenermi sempre aggiornato su tutto, mi fa sentire ancora un ragazzo. Rispetto ai miei allenatori poi ho un vantaggio. Io non devo compiere delle scelte, dare più minuti in campo a questo o a quell’altro. I giocatori sono tutti figli miei e non ho problemi a dare a tutti la stessa attenzione non dovendo poi essere io a scegliere. Anzi, ogni tanto cerco anche di dare il mio supporto psicologico al giocatore che deve essere recuperato, di capire bene la persona che ho davanti per poter davvero essere d’aiuto”. Nel basket di oggi, quello di una squadra che come l’Olimpia è impegnata anche in Eurolega, c’è chi arriva a sfiorare (nazionali comprese) le cento partite stagionali. Va a finire che si trascorre un sacco di tempo tra spogliatoio, palestra, aerei, aeroporti, pullman. Che uno come Justin non può fermarsi a bicipiti, quadricipiti, dorsali. Deve andare a colpire il più importante dei muscoli: il cuore. “Devo trovare le chiavi giuste per farmi ascoltare e, trascorrendo davvero tanto tempo insieme, una delle chiavi del mio lavoro è quella di capire bene come arrivare a loro. Il punto di partenza è trasmettere che sono in palestra non con loro, ma per loro, il che fa una grande differenza”. In una squadra come l’Olimpia con 18 giocatori di età, carriera, estrazioni differenti il lavoro è ancora più complesso. Hai giocatori di 35/36 anni come il Chacho Rodriguez, Hines o Gigi Datome e ragazzi che hanno appena raggiunto i trenta come Melli o Ricci. Ma soprattutto uomini che hanno vinto tutto (e tanto) in carriera e ragazzi che stanno cominciando adesso. “La presenza di grandi campioni è un grande aiuto perché loro sono sempre i primi a dare l’esempio. Quando entro in palestra e vedo cosa fanno e come lo fanno Hines o Datome per citare sono due dei nostri campioni, capisco che gran parte del mio lavoro è fatto perché con il loro carisma e il loro esempio si trascineranno dietro tutto il gruppo. Con ognuno poi lavoriamo con 18 programmi uno diverso dall’altro. Abbiamo gli strumenti per misurare il loro stato di forma, sappiamo come lavorare per ottenere il massimo dal loro fisico. L’unicità dell’atleta e della persona devono essere serviti in maniera adeguata sotto tutti gli aspetti”. La gestione Messina, sulla base della sua esperienza in Nba e in giro per l’Europa, ha fatto dell’Olimpia un modello di studio per tutto il basket di alto livello. A lavorare sul fisico dei giocatori è il Gruppo performance con due preparatori, un consulente scientifico, tre fisioterapisti, un osteopata, quattro medici con differenti specializzazioni. Danesi riesce ad avere con i suoi giocatori un rapporto che va oltre a quello professionale.

 

Qualcuno lo ha conosciuto da ragazzino nelle nazionali giovanili, altri li ha conosciuti dopo averli affrontati da avversari. “Uno con cui ho sviluppato un bel rapporto è stato Linas Kleiza. Un rapporto che è esploso dopo che lui se ne era già andato”. Il lituano era arrivato a Milano con tanti acciacchi dopo aver girato il mondo Nba e di Eurolega. Grazie a lui Giustino ha cominciato a conoscere anche la Lituania, senza tradire però la sua passione per Praga e la Repubblica Ceca, conosciuta quando era ancora Cecoslovacchia. “È cominciato tutto quando facevo atletica e gareggiavo come ostacolista, prima sui 110 poi sui 400. La prima trasferta all’estero fu dalle parti di Praga quando ancora regnava il regime comunista. Per accompagnarci ci mandarono un militare che poi scoprii essere una ex atleta entrata nella Polizia, Miloslava Rezková, medaglia d’oro nell’alto a Città del Messico. Vinse quell’oro pochi mesi dopo che i carri armati russi erano entrati a Praga e vinse davanti a due atlete russe. La sua foto sul podio con una lacrima sul viso è di quelle che non si possono scordare. Con lei e col suo compagno diventammo amici, andavo a mangiare il goulasch a casa sua, ho conosciuto altri atleti come Ludvik Danek, tre medaglie olimpiche nel disco… insomma Praga è quasi diventata la mia seconda patria”.

La sua grande passione sono i libri, il cinema e la musica, indie rock soprattutto. I libri soprattutto. Più romanzi che saggi. Rigorosamente libri cartacei che qualche volta vengono sottolineati. Ha titoli e consigli per tutti. Il peso dei volumi non lo spaventa neppure in trasferta. “Questo è un gruppo che dà grandissime soddisfazioni. Datome è un grande lettore, Melli legge moltissimo e quando arriva qualche giovane italiano io lo tormento dicendogli di leggere perché la lettura aiuta a costruire la persona. Anche Ettore è un grande lettore e ogni tanto ci scambiamo delle opinioni. Uno dei libri che ho consigliato quest’anno è stato Gli schifosi, dello spagnolo Santiago Lorenzo che trovo molto attuale, difficile, ma con una scrittura molto ricca e tradotto benissimo. Se si ha la forza di arrivare in fondo il finale è bellissimo e si lega al nostro periodo storico. Gigi mi ha regalato Just Kids, il libro di Patti Smith che è sua grande amica e lo ha inserito anche in un suo video”.

 

Con Datome ha anche un rito particolare. “Non è superstizione, ma un rito. Io devo fare le scale abbracciato a Gigi. Poi dico una cosa, i capitani, che sono Gigi e il Chacho, mi rispondono e poi mi danno un calcione nel didietro per farmi entrare in campo”. Riti che si ripetono quando si sale sull’aereo privato che porta l’Olimpia targata Armani in giro per l’Europa. “Io mi siedo sempre in fondo con Melli, il magazziniere, l’addetto stampa Limardi … quella zona viene definita il Ghetto”, lì non entra neppure Messina… Giustino stupisce anche rispondendo alla domanda: qual è il miglior atleta con cui hai mai lavorato? “Adriana Lima. Senza dubbio. Quando a Siena, suo marito Marco Jaric mi chiese di aiutarla, si allenava più dei miei giocatori, mi impressionò per la sua forza e la determinazione negli allenamenti”. E scommettiamo non solo per quello. 

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