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il foglio sportivo

Wayne Rooney non abbandona il Titanic

Gregorio Sorgi

Il Derby County affonda, ma l’ex bad boy non scappa anche se gli hanno venduto 9 uomini

Il Derby County non sembra una squadra sull’orlo del fallimento. Per lo scontro salvezza contro il Peterborough ci sono più di trenta mila persone allo stadio che cantano, fanno festa e non sembrano minimamente preoccupate dalla crisi finanziaria del club, che è in amministrazione controllata dallo scorso settembre e rischia di cadere nel baratro della terza serie (la nostra Serie C). La vendita di questa nobile decaduta del calcio inglese è una bomba a orologeria: se non troverà un nuovo acquirente entro il primo marzo, il club sprofonderà nella Football League One, vanificando l’impresa dell’allenatore Wayne Rooney e dei suoi giocatori, che stanno lottando per evitare la retrocessione sul campo.

 

Attorno al Pride Park si vedono i riflessi di un passato glorioso che non c’è più. Dalle ultime file della tribuna si notano le pale eoliche accanto al grigio paesaggio post-industriale delle Midlands. A pochi metri dallo stadio, tra i furgoncini che vendono hamburger, c’è una statua di bronzo dedicata a Brian Clough e Peter Taylor, la coppia del “Maledetto United” che da queste parti vinse un campionato nel 1972, prima dei trionfi al Nottingham Forest.

    

Davanti all’ingresso della tribuna c’è un arco in mattoncini rossi in onore di Lionel Pickering, storico ex presidente del club. Nella sala della biglietteria c’è un muro intero con le foto dell’undici più forte di sempre, quasi tutte in bianco e nero. Il Derby è tra i padri fondatori del calcio inglese: nasce nel 1884, è tra i dodici club ad aver dato vita alla Football League, ha vinto due campionati e un Community Shield.

Il fallimento del Derby è la dimostrazione di quanto possa essere dannoso il troppo amore, specie se applicato agli affari. Tutto inizia nel 2015 quando un imprenditore locale di nome Mel Morris, che ha fatto i soldi producendo videogiochi come Candy Crush, realizza il sogno di una vita: comprare la sua squadra del cuore, e provare a farla tornare grande. Morris si è presentato ai tifosi promettendo loro un sogno: “Spero che insieme possiamo dare a questo club una posizione stabile nella Premier League”. Ma il sogno si è presto trasformato in un incubo. Il presidente ha speso soldi che non aveva, portato a Derby grandi nomi come Frank Lampard e Wayne Rooney, cambiato otto allenatori in sei stagioni. Il mix letale di acquisti costosi, stipendi pesanti, contratti lunghi e un campo d’allenamento nuovo di zecca hanno creato una montagna di debiti (60 milioni) che dovranno essere saldati dal nuovo proprietario. Il club falliva puntualmente l’approdo in Premier, e il presidente spendeva sempre di più per riuscire nell’impresa. Finché i mancati introiti derivanti dal Covid hanno fatto crollare il castello di carte, e portato la società in bancarotta.

 

I tifosi con cui abbiamo parlato sugli spalti hanno pareri contrastanti sull’ex proprietario. Alcuni lo considerano un irresponsabile che ha trascurato il bene della squadra, altri dicono che nonostante tutto aveva delle buone intenzioni, ha “provato e fallito”. Così va il calcio. In effetti Mel Morris è stato parecchio sfortunato. Nelle sei stagioni in cui è stato presidente il Derby ha ottenuto una media punti invidiabile (72), ed è andato tre volte ai playoff (due semifinali, e una finale), più di ogni altra squadra della Championship. Di solito con queste premesse si va in Premier. “Se solo avessimo vinto quella maledetta finale a Wembley contro l’Aston Villa nel 2019, sarebbe cambiato tutto – rimpiange Paul, 54 anni e tifoso del Derby da generazioni – saremmo andati in Premier e tutti quei soldi buttati avrebbero acquisito un senso”. Morris ha usato un argomento simile per giustificarsi con i tifosi in una conferenza stampa lo scorso settembre: “In due o tre circostanze siamo caduti proprio alla fine. Se le cose fossero andate diversamente, avremmo raggiunto il sogno. Era così vicino. Non guardo indietro. Per me è stato un fallimento, e posso solamente chiedere scusa ai tifosi per non esserci riuscito”.

Se per alcuni l’ex presidente è il villano di questa saga, l’eroe a detta di tutti è Wayne Rooney: allenatore, capopopolo e ultimo a lasciare la nave. Fino a poco fa molti tifosi temevano che il mister avrebbe ceduto alle tentazioni dell’Everton, il club dove è cresciuto e tornato a fine carriera, ma lui è rimasto a Derby. Nella finestra di gennaio gli hanno venduto nove giocatori senza comprare nessuno – una scelta necessaria per sperare quantomeno di avere i soldi per arrivare a fine stagione – ma lui non se n’è andato lo stesso. Per alcuni la scelta di Wayne è incomprensibile. Sarebbe tanto facile scendere dal Titanic per fare un lavoro più comodo e remunerativo in Premier League. Invece Rooney preferisce lottare per salvarsi dalla terza serie, vivere alla giornata, ed è arrivato anche a tagliarsi lo stipendio per darlo ai suoi giocatori.

    

Chi conosce bene questo ex bad boy del Mereyside sostiene che il sentimento che lo anima da una vita è il pentimento, l’espiazione. In una delle interviste di presentazione del documentario autobiografico uscito su Amazon Prime, ha raccontato il senso in colpa provato per essersi presentato al Mondiale del 2006 in un pessimo stato fisico “rubando il posto e il sogno” a Jermain Defoe, che avrebbe meritato più di lui. A detta di molti, il punto è proprio questo. La permanenza in un Derby disastrato è un modo per espiare i successi e i tradimenti – ai danni dell’Everton, abbandonato a diciott’anni per andare allo United, e della moglie Coleen – di una vita. “Non mi perdonerei la scelta di andarmene dal Derby – ha detto di recente l’allenatore – Che tipo di persona sarei se andassi a sdraiarmi in spiaggia per due settimane?”.

 

E il popolo di Derby ha apprezzato questa determinazione. Provi a chiedere ai tifosi cosa ne pensano di Rooney e ti senti recitare un panegirico: “eroico”, “favoloso”, “la nostra salvezza”. I cori dagli spalti sono tutti per il mister, che è arrivato nelle Midlands nel 2020 da giocatore e poi è passato in panchina. “Lui è rimasto fedele, non è andato via nel momento del bisogno come Lampard”, spiega Annabelle, che è venuta da Londra per vedere i Rams (i “montoni”, questo è il soprannome della squadra). In effetti Rooney si sta dimostrando un ottimo allenatore. Nel 2021 ha evitato la retrocessione del Derby all’ultima giornata, mentre quest’anno lotta per la salvezza malgrado ventuno punti di penalizzazione, senza i quali sarebbe a metà classifica, e il divieto di acquistare giocatori. Il problema è che, se non arriva un nuovo proprietario entro la fine del mese, questa grande impresa sarà inutile.

 

I potenziali acquirenti del Derby ci stanno pensando due volte prima di fare un’offerta perché, oltre alla montagna di debiti lasciata da Morris, c’è una causa in corso che alimenta l’incertezza. Il Middlesbrough e il Wycombe Wanderers chiedono un rimborso di oltre 45 milioni di sterline che a loro dire equivale ai soldi persi a causa delle irregolarità commesse dai Rams. Il Wycombe retrocesso dalla Championship nel 2021 sostiene che il Derby dovesse essere penalizzato e relegato in terza serie l’anno scorso e chiede sei milioni di sterline per compensare il passaggio alla terza serie. Il Middlesbrough crede addirittura che le irregolarità siano iniziate nel 2019, quando il Derby gli ha “rubato” i playoff della Championship, privandogli la possibilità di andare in Premier League. La grande speranza della piazza si chiama Mike Ashley, ex proprietario del Newcastle e fondatore del colosso dell’abbigliamento sportivo Sports Direct, che è il nome più accreditato a rilevare il Derby. Ma i tifosi non sembrano pensarci troppo. Dopo la vittoria allo scadere contro il Peterborough, il popolo del Derby canta, fa festa e si affolla nel mega store per comprare i completini in saldo. I Rams viaggiano a un gran ritmo. La zona salvezza è lontana otto punti (a causa della sconfitta successiva contro il Millwall mercoledì sera) e mancano ancora quindici partite alla fine del campionato.

“Se spunta fuori un nuovo proprietario è fatta”, ripetono i tifosi. Ma in vetrina tra i vari gadget c’è una maglia bianca con iscritto “Save Derby”. Più che una trovata di marketing, è un ultimo e disperato grido di salvezza.

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