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No vax sotto canestro

Francesco Gottardi

Giocare a basket in Italia senza vaccino ormai è un’impresa difficile, nonostante Justin Cobbs. E così in un campionato immunizzato chi non ha il green pass se ne va altrove. In Nba invece i proseliti antivaccinisti continuano a trovare terreno fertile

Ultimo fu Justin Cobbs. E forse lo resterà: la storia dell’odissea del playmaker no vax ha fatto il giro del continente – quasi più in fretta di lui, che la scorsa settimana ha viaggiato da Podgorica a Bologna con mezzi propri pur di giocare in Eurocup senza vaccinazione, eppure con tutte le carte in regola. Qualcuno dice che abbia fatto l’intera tirata in macchina, oltre 1.000 chilometri in dodici ore. Altri hanno parlato di un aereo privato fino a Lubiana e auto solo per il tratto finale. Dettagli che sono già leggenda. Limitandoci ai fatti, Cobbs in terra emiliana ha potuto solo calcare il parquet del Paladozza – proibiti gli spogliatoi, i servizi, le aree comuni – e tanto gli è bastato per segnare pure il canestro della vittoria a fil di sirena.

Difficile che qualcun altro ci riprovi. L’obiettivo del super green pass è render la vita un calvario a chiunque non sia vaccinato. E il basket non fa eccezione: da un mese a questa parte, essere un professionista della nostra Serie A senza vaccino significa niente viaggi e hotel con la squadra, nessun contatto col gruppo lontano dalla palla a due, isolamento perenne. E va da sé, tamponi a raffica. Un piano alla lunga insostenibile, anche ai fini del team-building. Il cestista del Buducnost, zelo a parte, l’ha potuto attuare perché in Italia doveva disputare una sola partita. Magari ha aperto la via a qualche altro no vax in visita per le coppe europee.

Dalla A2 in giù, dove i campionati sono dilettantistici, oltre il disincentivo logistico c’è poi il veto legale: per giocare e allenarsi ormai è obbligatorio il certificato verde rafforzato. O guarigione recente, o vaccino. Robert Johnson e Kenny Hayes, leader tecnici di Cantù e Forlì, a fine gennaio hanno preferito perdere il lavoro e svernare nei bassifondi del basket polacco e turco. “Tiravano in ballo credi religiosi, convinzioni famigliari, problemi fisici”. Tutto pur di evitare la famigerata dose.

Il risultato, oggi, è che la pallacanestro italiana è interamente immunizzata. Lo stesso vale per la Serie A di calcio e la stragrande maggioranza degli sport di squadra a livello d’élite. Traguardi di una nuova fase della pandemia, quella della convivenza con il virus. Così storie come quella di Cobbs – storie di onesta ostinazione: la furbizia non bastò neanche a Djokovic – rappresentano scorie di un mondo in via di superamento.

 

Eppure, nel basket globale, i proseliti no vax continuano a trovare terreno fertile. L’esempio negativo arriva dall’America: in Nba – ma il discorso vale anche per il football – il 10 per cento degli atleti in autunno inoltrato doveva ancora sottoporsi al vaccino. E chi ha detto sì l’ha fatto spesso senza entusiasmo – “Ero molto scettico”, ha ammesso anche King James. Dal congelamento degli stipendi ai rigorosi health and safety protocols, la lega ha tentato di tutto per risolvere il problema. Ma con lo scoppio di Omicron alla fine ha allentato i vincoli, abbreviando i regimi di quarantena per vaccinati e non per aiutare i roster delle franchigie alle prese con svariati focolai. Il caso principe è quello di Kyrie Irving, stella dei Brooklyn Nets, no vax convinto e disposto a rinunciare a 10 milioni di dollari: un mese fa è stato reintegrato in squadra con l’autorizzazione a giocare quasi tutte le partite in trasferta.

E se gli argomenti di Irving e soci si limitano a invocare l’abusata formula “il corpo è mio e decido io”, tra gli ex giocatori c’è chi fa peggio. John Stockton, leggenda degli Utah Jazz degli anni Novanta, nelle ultime settimane si è visto revocare l’abbonamento stagionale all’università di Gonzaga – dov’è cresciuto e hanno ritirato la numero 12 in suo onore – perché non ne voleva sapere di indossare la mascherina sugli spalti. Fosse solo questo: “Il vaccino anti-Covid ha ucciso 100 atleti professionisti”, dichiarava in un documentario del 2021, poi spopolato fra i complottisti. “Oltre a migliaia, forse milioni di persone”. Fake news della peggior specie, senza nemmeno lo sforzo di citare il proverbiale studio alternativo. Da un playmaker all’altro, in confronto, la traversata dei Balcani è una romanticheria innocente.

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