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Dieci anni senza Simoncelli. Il Mundiel del Callaghan...

Cristiano Cavina

Certe vite hanno tanta di quella roba dentro, che non finiscono

Di fronte alla morte t’insegnano che bisogna starci a testa bassa e contriti come davanti al tabellone degli scrutini quando ti bocciano. “T’insegnano”.. .che viene poi naturale, ma chi l’ha detto?

Se c’è una cosa che fa onore al carattere romagnolo è il ridere in faccia alla malasorte anche se sei tutto rotto dentro (che è una tennica che vale anche per quando va di lusso; mai prendere troppo sul serio i trionfi. E infatti quando Simoncelli Marco vinse il Mondiale 250 nel 2008, sul traguardo suo babbo Paolo mostrò la lavagnetta con scritto “T’an arè vent e mundiel, Callaghan”; non avrai mica vinto il Mondiale, Callaghan, che era un personaggio delle barzellette che si raccontavano, modellato sul classico sborone romagnolo).

Ma quale malasorte peggiore c'è del rendere l'anima al Santissimo, o chi per lui, molto prima del tempo, Callaghan? Nessuna.

A testa bassa e contriti, che tanto alla fine vince lei... Dipende. Simoncelli Rossella e Paolo, che hanno perso quel benedetto ragazzo dall’altra parte del mondo, un 23 ottobre di dieci anni fa, solo loro possono sapere com’è; non averlo più a tavola a Natale quando fai cappelletti in brodo.

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E non bisticciarci più, non dirgli più di non andare giù a tutto gas dalla discesa di casa, che se poi arriva la zia fai il patatrac (“...e la sua Peugeut – pronunciata Pegiò – è spuntata dalla curva: ho avuto almeno la prontezza di riflessi di prenderla in pieno...”). C’è qualcosa di peggio di sopravvivere ai propri figli? Mi sa di no; ma aspetta poi. Simoncelli Rossella e Paolo cosa ti fanno? Ringraziano di aver vissuto accanto a un figlio che ha realizzato i propri sogni e poi tirano su un museo e una bella fondazione, che il mondo è difficile da salvare, ma qualche ragazzo qua e là magari riesci ad acciuffarlo per i capelli prima che cada di sotto; che è un bel modo di starci dritti in faccia, alla sventura, che le venga un colpo.

 

Al funerale il dottor Costa disse una cosa che non era poi così sbagliata; la riempì di lirica. Perché il dottor Costa di lavoro faceva i tagliandi alle ossa e aveva il serbatoio da medico, però la riserva era da poeta. Aveva un piccolo Carducci appeso allo stetoscopio. Disse, davanti al feretro di un ragazzo morto a 24 anni: “Guardate che lui non c’è mica lì dentro”. E lo disse in un modo come se Simoncelli Marco (Cattolica – solo perché a Coriano non c’è l’ospedale, 20/01/87, lo stesso giorno di Fellini, si può essere più romagnoli, più malatestiani di così?) fosse partito sgasando senza aspettare il via, lasciando tutti inscimuniti a bocca aperta.

La verità della medicina e della biologia diceva: è finita, e su questo non ci dovrebbe piovere. Ma vuoi mò che siamo solo cartilagini e legamenti crociati? Certe vite hanno tanta di quella roba dentro, che non finisce nel nulla da oggi a domani; scappa da tutte le parti, e impenna anche. Uno pensa che l’esistenza di un corridore di moto sia rigorosamente impacchettata in misure e numeri, che con quelle non puoi barare: il circuito è lungo tanti chilometri, la curva X va presa con quella marcia, il tempo sul giro è tot; i Gran premi vinto sono questi e i Mondiali conquistati quest’altri: ma sta tutto lì dentro per davvero?

Poulidor, allora, per dirne uno? Lui di titoli manco uno ne ha vinto. Lascia stare che correva in bicicletta; è arrivato diecimila volte secondo al Tour de France, prima lo fregava Anquetil, poi Merckx, che di secondo più secondo di lui c’è stato forse solo Aronne con Mosè. Io però l’ho conosciuto Poulidor, una volta che ero in Linguad'oca, e la gente lo guardava passare per strada come se camminasse sulle acque. Non si toglievano il cappello solo perché non ce l'avevano, ma gli occhi erano quelli, come se fossero stati tutti lì lì per fargli l'inchino: quando combatti in un certo modo, vinci o perdi, primo o secondo restano solo numeri, non giudizi.

 

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Misurare una vita non è una scienza esatta, come giocare la maraffa al bar; a contare i Mondiali si fa solo un pezzetto della strada.

Simoncelli Marco ha conquistato un titolo e in MotoGp non ha fatto in tempo a vincere nessun Gran premio (“Io vorrei sempre salire nel gradino di mezzo, che anche se sono alto, vengo meglio in televisione, sembro più bello”): eppure è pieno di motociclisti della domenica che rientrano dalla gita fuori porta con la morosa in groppa e il 58 sul casco, o di ragazzini che lo hanno stampato alla meglio sullo spondino dell’Apecar. Ci sono Mondiali che Wikipedia non può quantificare. Ecco, l’unica cosa per cui ti tira il culo è che lui non possa vederlo, ma anche lì, chi l’ha detto? Anche la fede non è una scienza esatta. Metti che il paradiso sia fatto come il Mugello, che se ne stanno tutti seduti a bordo pista nei paddock, solo che guardano giù.

Che poi non si sa se l'hanno già fatto entrare, magari l'hanno rimandato a settembre, perché quando parlava, Simoncelli Marco era uno che la vita gli usciva da tutte le parti, e quando la vita di esce con quelle esse, mica bussa con garbo.

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“Barberà nella sua intervista ha detto che hai aperto la gamba per...” provò a dirgli una volta Meda in una conferenza post gara. Non lo lasciò neanche finire “A sua sorella gli ho aperto la gamba” rispose. Mica con cattiveria, eh, perché con quell’accento lì non ce la fai proprio a far uscire le cose brutte; v'immaginate uno che fa una rapina in romagnolo? Già a O la borsa o gli ridono in faccia. Però, metti che il regno dei cieli sia giusto un pelo politicamente corretto, lì qualche mese di purgatorio tocca fartelo.

Eh, mi sa che Barberà qualche annetto di attesa gli sarà costato.

“Barberà, lo dico senza offesa, è un imbecille.” Altri due mesi minimo.

Lasciamo poi stare quei rosari di Diobò; per quelli confidiamo nell'onnipotenza del Padreterno, che dovrebbe capire si tratta di un intercalare, non di una bestemmia. Esce fuori più liscio di “ovverosia” o “perbacco”.

Le parole, ecco. Uno pensa che insomma, è solo compressione dell'aria, propagazione del suono e lunghezze d’onda; e per un pilota poi, cosa vuoi che contino? Con i motori ci vuole manetta nel gas e rogna addosso. Ma uno che parla così, come fai a dire: “Non c'è più”?

Ogni parola gli veniva fuori vera; ci vedevi il luccichio intorno; facevano uno scampanellio tutto loro, come il plin che segnala il giro veloce. La verità ha un suono che mica lo spegni.

Tanta gente ha vinto più titoli, eppure sembra essere stata muta tutta la vita; non ne è rimasto nulla.

“Qual è il circuito migliore dove vincere il Mondiale?”, gli chiese Beltramo, con quel suo zainetto in spalla che sembrava un Neil Armstrong che sta per sbarcare sulla luna.

“I posti per vincere il Mondiale vanno bene tutti, anche in culo ai lupi” (Plin. E due mesi aggiuntivi di pit stop in purgatorio).

“Ho visto che non mi teneva, così mi son detto vado via da solo. Dai Diobò, ci provo. Prendo sette secondi, guardo la lavgnetta e mancano ancora 12 giri. Che due palle” (Plin. E Drive Through – pronunciato draitrù – davanti a San Pietro con la bandierina rossa che controlla).

 

Qualche tempo fa, Simoncelli Paolo, che è rimasto nel mondo dei motori e non so come fa – perché non sono mai stato in griglia a dovermi misurare contro una perdita del genere, che è vigliacca e fa sempre la pole – che aveva sempre detto di sentirsi fortunato di aver vissuto accanto al suo Marco, di averlo visto esprimere il proprio talento e realizzare i propri sogni, vide ai box Aligi Deganello – era stato il tennico del suo ragazzo l’anno che vinse il mondiale – abbracciarsi con il figlio Elvio, paralizzato dopo un grave incidente, e ha pensato: “No, forse non sono stato poi così fortunato”. È un pensiero molto bello, triste, tristissimo, ma molto umano; con sotto anche una concessione un po’ così, piena del carattere della sua terra. Tipo: avevo pensato di aver vinto la morte, ma diciamo che abbiamo pareggiato.

Ecco. Che sia morto o no, che sia andato in paradiso o no (dopo le sessioni di settembre e via dicendo), certe esistenze non riesci mica a prendergli le misure e il tempo, perché continuano a sgasare da tutte le parti. Echeggiano, direbbe il piccolo Carducci appeso allo stetoscopio del dottor Costa.

Che nelle gare, puoi anche vincerle tutte; ma se non hai qualcosa da dire e il tuo modo di dirlo, poi non lasci niente a nessuno. Ma quando le vivi in un certo modo, quando l'esistenza ti esce con un certo suono, uno non può fare a meno di continuare a seguirla, ovunque vada; anche in culo ai lupi, Callaghan.

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