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Vedere il Parma perdere a Terni e pensare a una cosa sola: pistapòci

Paolo Nori

Recupero della quinta giornata del campionato di Serie B. Colpi di tacco che era meglio non vedere

Cinque anni fa, nel 2016, ho ricevuto una cartolina da Bellaria da un ragazzo che aveva partecipato alla redazione del Repertorio dei matti della città di Bologna: c’erano quattro fotografie di Bellaria, due di giorno, la spiaggia e il lungomare, due di notte, la baia buia e la baia coi fuochi d’artificio, e il disegno di un delfino e la scritta “Ciao da Bellaria”, e nel testo della cartolina c’era ha scritto: “Era meglio stare a casa. Buone vacanze”.


  

Quando l’ho letto ho pensato a uno dei piccoli racconti del “Repertorio dei matti” della città di Bologna, quello che dice così:
 “Uno faceva il pittore. Aveva cominciato dipingendo un maiale viola sulla serranda del macellaio della Pescarola. Dopo aveva messo in giro la voce di essere l’autore del trompe l’oeil della chiesetta di San Donato in via Zamboni. Raccontava di essere stato diffidato dai carabinieri per l’una e l’altra cosa. Per vendicarsi aveva aspettato nove anni ed era tornato a dipingere una gallina con le orecchie sulla serranda del macellaio della Pescarola. Faceva dei quadri bassi e larghi, oppure stretti e lunghi, che intitolava tutti ‘Non era meglio stare a casa?’. Erano pianure, quelli bassi e larghi, oppure montagne, quelli stretti e lunghi, e dentro ci metteva certi particolari minimi, dei cartelli pubblicitari, dei segnali stradali, dei vasetti, delle lische di pesce”.
 

 

E mi erano venute in mente tutte le vacanze che, quando son stato là in vacanza, ho pensato che era meglio stare a casa: in Liguria, ad Alassio, in un albergo che ci pioveva dentro, quando pioveva, e pioveva spessissimo, quell’estate lì, e c’era un bambino, in quello stesso albergo, che per tutto il mese che eravamo rimasti lì aveva provato a gonfiare il suo canotto col fiato e quando eravamo partiti non c’era ancora riuscito; in un paesino in Abruzzo che c’era un festival che si chiamava “Erotika” che, ho scoperto, qualche anno dopo ha cambiato nome in “Afrodisiaka”, e era il festival del porno soft e io ero lì con la mia morosa e ci passavamo davanti tutte le volte che tornavamo dal mare, stanchi arrossati arrabbiati dopo due mesi ci siamo lasciati; in Armenia, a Erevan, che non avevo niente da fare tutto il giorno e avevo conosciuto un pittore russo che mi aveva detto che suo figlio era un musicista che faceva il conservatorio era un grande appassionato di Toto Cutugno e non capiva cosa significava “pero”; “In che senso pero?”, gli avevo chiesto io; “Laciatemi cantare, con la chitarra in mano, io sono un italiano, un italiano pero”, mi aveva detto lui; in Russia, in Transiberiana, che avevo incontrato una ragazzo che si occupava di moda e quando aveva saputo che ero italiano mi aveva chiesto “Ma tu, Gianfranco Ferrè, lo conosci, personalmente? No, così, per sapere”. 

   
Ecco, a pensarci, quelle vacanze lì, quelle che proprio van male, forse sono quelle che rimangono più in mente di tutte, son quelle le vacanze memorabili, non quelle che ti diverti, e mi era venuta voglia di organizzare un piccolo concorso, che avevo chiamato “Era meglio stare a casa summer festival 2016” e avevo chiesto ai miei interlocutori in rete che mi mandassero una cartolina e ci scrivessero “Era meglio stare a casa” e poi tre righe dove raccontavano perché.

 

E mi avevano scritto: “A passeggiare per Cattolica di sera, d’estate, ti può anche capitare di prendere per mano tuo figlio di dieci anni, per paura che si perda in mezzo a tutta quella gente, solo che non è tuo figlio, è un nano molto educato, che ti dice di non preoccuparti, che gli succede di continuo” (Elena).

   

Oppure “Abbiamo preso il battello postale per raggiungere il circolo polare solo che mentre eravamo in mare è arrivato l’uragano Barbara, mare in tempesta, stavamo tutti male, un marinaio raccoglieva il vomito con l’aspirapolvere, siamo scesi alla prima fermata. Allora siamo andati ad Oslo, luce dalle 10 alle 15, alle 16 tutto chiuso, si mangiava solo salmone e patate, o patate al salmone. Siamo andati al ristorante indiano. ‘Come parla bene l’italiano’ abbiamo detto alla proprietaria ‘Sono bulgara ma mio marito è di Perugia e il cuoco è di Napoli’”. (Anna e Matteo)

 
O una cartolina dalla Norvegia che dice: “Beato te che vai nella vera socialdemocrazia!” mi ha detto Bonetti al bar.
 346 DKK (45 euro) un panino con l’aringa.
 65 DKK (5 €euro) il coperto e non c’era neanche la tovaglia.
 In bagno non ci sono andato perché ho finito i soldi. 
Socmel la socialdemocrazia!
 E Bonetti.
 Ma non era meglio se stavo a casa?” (Matteo).

  
Infine “Era meglio stare a casa ma io già lo sapevo. Muoversi ad agosto insieme a tutta la città è come stare fermi. Parte il treno e parte anche la stazione” (Mattia, il vincitore). 

  
Che uno può chiedersi: ma cosa c’entra? 

  
Ieri sera il Parma giocava a Terni, contro la Ternana, recupero della quinta giornata del campionato di Serie B. La Ternana, le prime quattro partite, ne aveva perse tre e pareggiata una, non aveva mai vinto e, in quattro partite, aveva preso 10 gol, era terz’ultima in classifica. Ha vinto 3 a 1. La Ternana. Ternana 3, Parma 1. C’è una parola, in dialetto parmigiano, che mi sembra designi bene il comportamento di alcuni dei giocatori del Parma di ieri sera: “pistapòci”.  Significa “Quelli che pestano le pozzanghere”

  
Che fanno una gran confusione, tirano su degli schizzi, non concludono niente. Ho visto dei colpi di tacco, ieri sera, che era meglio se non li vedevo. 

  
Quando è cominciata la partita, quando ho visto lo stadio “Libero Liberati” di Terni, mi è dispiaciuto non esserci potuto andare e doverla vedere al computer. 

  
Quando è finita, son stato contento di non esserci potuto andare. 

  
Mi dispiaceva il fatto di doverne parlare, e mi sono chiesto: ma con questa idea di commentare tutte le partite del Parma di questo campionato, non era meglio stare a casa? 

  
Ecco. 

  
Appuntamento a domenica prossima, Parma-Pisa. Col Pisa primo in classifica a punteggio pieno. 

  
Ci divertiremo. 
 

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