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La Juventus è una Signora che non riesce a fuggire dal suo passato

Giuseppe Pastore

I bianconeri che non hanno ancora segnato un solo gol nei secondi tempi (subendone cinque in cinque partite) e sembrano divisa in due grupponi che tirano in direzioni diverse

Juventus-Milan non poteva iniziare meglio per il Milan. Il gol di Morata al terzo minuto ha trasformato le sempre ripide pareti dello Stadium in un muro verticale da scalare a mani nude, a maggior ragione dopo i 95 minuti di avvelenamento fisico e mentale di Anfield: è il famoso effetto-Champions, un prezzo da pagare sconosciuto al Milan degli ultimi otto anni. Pane per i denti di un gruppo giovane, carino e arrogante che si ritiene superiore alla Juventus, e con una certa ragione: da quando si è tornati in campo dopo il primo lockdown, la boy-band di Pioli ha raccolto diciannove punti in più dei bianconeri. E allora cosa c'è di meglio di un bel gran premio della montagna fuori categoria per mettere alla prova le proprie ambizioni? Rimasto in debito d'ossigeno nei primi chilometri della salita per eccesso di entusiasmo, il Milan ha tartagliato per mezz'oretta nella propria presunzione, regalando un gol e forse sbagliando sistema di gioco, prima di raccapezzarsi e raccogliere i resti dell'illustre rivale. E uscendo dallo Stadium più forte di com'era entrato.

 

Juventus-Milan non poteva iniziare meglio per la Juventus. Il gol di Morata al terzo minuto era esattamente il piano di gara che Massimiliano Allegri sognava ma non avrebbe mai osato chiedere: la capolista che spalanca le porte in undici contro dieci, la punta che s'invola per cinquanta metri, gol, cortomuso, 'un conta vince di cento, eccetera. Lo stesso splendido inizio era arrivato a Udine e finanche a Napoli, prima dell'ormai consueto pugno di mosche finale. E dunque già a settembre tre indizi fanno una prova: questa vecchia-nuova Juventus è una squadra che non sa vivere nell'allegrismo, che forse non è nemmeno un posto così luminoso in cui abitare. Costretto alle spalle al muro del -8 dal vertice, Allegri ha messo dentro tutti i suoi amati vecchioni, presentando un undici titolare di 30 anni di media e difendendo le proprie legittime scelte con spiegazioni sinceramente risibili, come quella su De Ligt (lo stipendio più alto della Serie A) cui toccherebbero ancora anni di apprendistato prima di diventare un grande difensore - “ne deve mangiare di pastasciutta”, direbbe Bonucci. Poetica ribadita anche nel post-partita, motivando l'esclusione iniziale di Chiesa, uno dei tre migliori giocatori di movimento dell'Italia campione d'Europa: “Deve crescere e acquisire la consapevolezza che siamo alla Juventus”.

Cosa voglia dire oggi, nel settembre 2021, essere alla Juventus, non è chiaro saperlo: la Juve è una squadra che non ha ancora segnato un solo gol nei secondi tempi (subendone cinque in cinque partite) e che sembra divisa in due grupponi che tirano in direzioni diverse. La vecchia guardia, simboleggiata per comodità dai dioscuri Bonucci&Chiellini (impeccabili contro il Milan che pure era privo di veri punti di riferimento offensivi), ricorda bene l'ancient régime allegriano e non chiede di meglio che abbassarsi a oltranza una volta ottenuto il vantaggio, e più la partita è importante e più c'è da soffrire e dunque da godere. Indicazioni per nulla recepite dalle nuove leve approdate a Torino dal 2019 in avanti in virtù di una malintesa rivoluzione tecnica precipitosamente abortita due estati dopo: di De Ligt abbiamo detto, ma anche tutti gli altri continuano a vagolare in un inferno lastricato di buone intenzioni regolarmente franate alla prova dei fatti, o non si capirebbe come la Juventus abbia perso tre punti tra Napoli e Milan dormendo su due calci d'angolo, ora per colpa di Rabiot e Kean ora di Locatelli, colti in pieno sonno in quei frangenti dov'è richiesto l'apice della concentrazione difensiva all'italiana, là dove in difesa non passa mai nessuno e in attacco, se ci gira bene, raddrizziamo pure le finali Europee.

 
Queste sono dunque le linee guida della vecchia-nuova Juve, disposta a passare una colata di bitume sopra i roboanti propositi degli ultimi due anni. Oggi, di nuovo, l'unica cosa che preme e disturba è che “non possiamo prendere gol così”, la sintesi come sempre a grandi linee, per forza di cose, di un Allegri che pubblicamente evita ancora di affondare il bisturi, forse consigliato da un contratto di quattro anni che gli suggerisce che, in fondo, c'è ancora parecchia strada davanti per portare a termine la controriforma. Già due scontri diretti sono volati via, scivolati dalle mani in modo “non da vecchia Juve”, come se con uno schiocco di dita Locatelli diventasse Khedira e Rabiot diventasse Matuidi (che poi sembra il desiderio inconfessabile di Max, che ci figuriamo intento a scalpellare i piedi del francese pallido urlandogli: perché non difendi?). Non è che sta peccando di presunzione pure lui, credendo di poter plasmare e migliorare giocatori che tendono da tutt'altra parte? Le altre quantomeno ci provano a muoversi in avanti, verso il futuro, a volte ovviamente sbagliano (vedi la Roma a Verona) ma sbagliano in eccesso, assecondano gli umori popolari con una certa furbizia che sembra mancare anche quella allo stato maggiore bianconero, provano a tamponare le falle societarie di questi tempi grami inventandosi un Dumfries, uno Shomurodov, un Anguissa. La Juventus, una volta sbloccato il risultato ma diremmo anche fuori dal terreno di gioco, sembra intenta esclusivamente a guardarsi le spalle. Stamattina, è meglio che non prenda alla lettera il suggerimento: scoprirebbe di essere penultima.

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