Foto Twitter: US Salernitana 1919

Alla provincia calcistica non è consentito sognare. Nonostante Ribery alla Salernitana

Giorgio Burreddu

Gli anni Ottanta non sono tornati, il campione in una piccola non è più la componente di un progetto più grande. È solo il desiderio di continuare

Lo hanno accolto coi fumogeni, i tamburi, le sciarpe, le bandiere. Con gli occhi lucidi e le mani spellate. E le voci senza più fiato al grido Ribery, Ribery, Ribery. All’Arechi erano in tredicimila. Tutto vero. Ma chi pretendeva la prova empirica e tangibile di questo prodigio, di questo fenomeno, di questo miracolo a Salerno, l’ha avuta. Frank Ribery non si è tirato indietro. Anche se poi, quasi imbarazzato, a chi ne chiedeva lumi, a chi solleticava similitudini, Frank ha voluto precisare: "Tutto questo è indimenticabile. Ma non sono mica Maradona. Ho vinto tanto anch’io, ma non dimentichiamoci cosa ha fatto lui". Caro diario, è tempo che la Serie A comprenda se stessa. C’è stato un tempo in cui la provincia era solo un modo di dire. Un punto geografico distante dai centri di potere. Anni in cui (e forse ce ne rendiamo conto solo oggi) a tutti era consentito sognare.

Cosa resterà di quegli anni 80 è iscritto proprio in questa (bellissima, meravigliosa, divertente, caotica) operazione Ribery alla Salernitana. Cioè: nulla. Al massimo: nostalgia. Quello di Ribery è un colpo che merita la ribalta. Altroché. Ma che deve anche aprire a riflessioni. Con il passaggio del campione francese alla Salernitana a molti è sembrato di rivedere quel fulgido attimo di gloria di una Serie A ormai tramontata quando i club di provincia sceglievano i campioni e qui li portavano. Zico a Udine. Stromberg a Bergamo. Larsen a Verona. Anni in cui la forza dei club valeva anche l’epica. Un posto in Coppa Uefa o in Coppa delle Coppe. Magari un lancio nell’iperspazio tra le prime della classifica. O qualche fiches da puntare perfino sullo scudetto. Il campione era la componente di un progetto più grande.

 

Da tempo l’aria è cambiata. Antonio Giordano sul Corriere dello Sport-Stadio ha riassunto così: "Là dove comincia la Costiera amalfitana, e si può anche restar rapiti da questa Grande bellezza, Franck Ribery ha posato lo sguardo ed ha intuito, immediatamente, d’essersi ritagliato un anno da favola". I grandi che approdano nel nostro campionato, ormai, lo fanno al prezzo della loro serenità, del loro desiderio di vita. L’obiettivo conta fino a un certo punto, al centro c'è la qualità delle giornate, delle settimane, delle stagioni: se il panorama sembra una cartolina è meglio, e se si mangia da dio non c'è niente da aggiungere. Sempre Ribery aveva scelto Firenze (un’altra grande bellezza) con cui ammantarsi. Ma con la Salernitana è andato oltre. A quasi 39 anni non ci sono più soldi in gioco, né contratti. È solo il desiderio di continuare. Di sentirsi capaci, utili, forti. "Quando giocherò? Spero al più presto, è importante ritrovare subito il ritmo. Voglio essere utile alla mia squadra, aiutare tutti, soprattutto i più giovani e contribuire alla salvezza".

Dice Norma Desmond nel film Viale del tramonto: "Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo". Così è accaduto a Valentino Rossi, per esempio. A un certo punto il grande spettacolo della MotoGp è diventato qualcos’altro: un girotondo di ragazzi su moto giapponesi. Senza di lui (o con lui che ha smesso di essere lì) non è stata più la stessa cosa. Tutto è diventato troppo piccolo. Con quelli come Ribery è diverso. È la star che sceglie il teatro piccolo, per pochi, il palcoscenico ai bordi di periferia, lontano dal centro, magari sulla scogliera. Antonio Cassano lo ha criticato (alla BoboTv): "Deve smettere con dignità. Ha 38 anni, perché è andato alla Salernitana? Dovrà lottare per la salvezza e a 38 anni non puoi correre a inseguire gli avversari per difenderti". Ma non è questo il punto. Quando a Hollywood cominciò l’era del sonoro, molti pensarono che sarebbe stata una moda passeggera. E anche quando prese il sopravvento c’erano ancora quelli che dissero no, piuttosto l’oblio. Così fece George Valentin nel film The Artist: "Non sono un burattino, sono un artista". Ribery non è diverso. Ah, questi artisti. Fanno sempre come gli pare.

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