Il grande Gundi è rimasto lì

Gino Cervi

50 anni fa moriva Georgi Asparuhov, il Van Basten bulgaro

Era sempre stato abituato agli scontri. A quel tempo, i difensori non andavano troppo per il sottile. Palla o gamba, non faceva molta differenza. Georgi Asparuhov, calciatore bulgaro, professione centravanti, gli scontri se poteva li evitava. Come quella volta che a Wembley, in un’amichevole contro l’Inghilterra campione del mondo (era il dicembre 1968), Georgi Asparuhov, detto Gundi, a centrocampo saltò di testa a contendere a Brian Labone un rilancio della sua difesa chiusa da minuti e minuti in area a resistere all’arrembaggio inglese. Anticipò il difensore e scattò rapido nel più classico dei contropiede: metà campo da vendere, come si diceva una volta. Gundi si aggiustò ancora una volta la palla con la fronte e proseguì la corsa verso la porta avversaria. Il terzino Keith Newton tentò di tagliargli la strada ma venne beffato da un repentino cambio di direzione con tunnel. Gundi si portò avanti il pallone di destro e, rincorso vanamente da Newton appena dentro l’area, eludendo l’ultimo disperato tentativo in scivolata del terzino di intercettare la palla (o la gamba), sferrò un sinistro in diagonale che s’insaccò nell’angolino basso alla sinistra di Gordon West, il portiere inglese, inutilmente proteso in tuffo. 1-0, Bulgaria in vantaggio e Wembley ammutolito. Gundi indossava la maglia numero 9 e fu abbracciato dai compagni. È vero che era un’amichevole, ma non capita mica tutti i giorni di segnare a Wembley contro “i maestri del football” (che peraltro dopo segnarono il gol del pareggio).

 

Non era quella la prima volta che il mondo del calcio si accorgeva di Gundi.

Georgi Asparuhov era nato il 4 maggio 1943 alla periferia di Sofia. Cresce giocando a calcio e a pallavolo ed è molto bravo in entrambi gli sport. Inizia la trafila nelle giovanili del Levski Sofia, ma lo fanno giocare in difesa. Fino a quando, convocato in una selezione nazionale, segna un incredibile gol con un tiro dalla distanza. Da quel giorno, Gundi diventa centravanti. Dopo la prima stagione da professionista nel Levski, viene chiamato alla leva militare, lunga due anni, a Plovdiv. Ha il privilegio di poter giocare nella squadra locale del posto dove è mandato di stanza: il Botev. Grazie al giovane Gundi, il Botev Plovdiv vince la Coppa di Bulgaria e l’anno dopo arriva secondo in campionato. Ma è la Coppa delle Coppe della stagione 1962-63 la prima vetrina internazionale di Asparuhov. Trascina a suon di gol la sua squadra fino ai quarti di finale (risultato mai più eguagliato) ed è, a pari merito con Jimmy Greaves del Tottenham – che l’anno prima aveva fatto una fugace apparizione nel campionato italiano nel Milan di Rocco –, capocannoniere del torneo, con 6 reti in 6 partite.

Intanto Gundi, diciannovenne, viene convocato dalla nazionale ai Mondiali in Cile. È la prima volta della Bulgaria in un torneo mondiale. Non è un grande esordio, la Bulgaria viene eliminata nel girone con l’Argentina, l’Ungheria e l’Inghilterra. Ma per Gundi è il primo di tre mondiali consecutivi: a quelli del Cile, seguiranno Inghilterra 1966 (con un gol) e quelli Messico 1970. Nel 1963 torna a vestire la maglia del Levski Sofia, la sua seconda pelle, con cui vincerà tre campionati nazionali (1963-64, 1967-68 e 1969-70) e tre coppe di Bulgaria (1967, 1970 e 1971).

Ma è ancora una volta la scena internazionale a illuminarsi sul suo talento. Nell’autunno del 1965 fa il suo esordio con il Levski in Coppa dei Campioni: superato agevolmente il primo turno, agli ottavi di finale i bulgari si scontrano con il proibitivo Benfica di Eusebio. Pareggiano in casa 2-2 e al ritorno al Da Luz rendono la vita dura ai portoghesi, cedendo di misura per 2-3. Gundi segna una doppietta e alla fine della partita Eusebio dichiara che vorrebbe sempre avere al suo fianco un centravanti come Asparuhov. Qualche settimana dopo Gundi con un’altra doppietta firma la qualificazione ai Mondiali d’Inghilterra della sua nazionale vincendo lo spareggio col Belgio, giocato in campo neutro a Firenze.

 

Nel settembre del 1967 il Levski incontra il Milan nei sedicesimi di Coppa delle Coppe. L’andata a San Siro finisce 5-1 per i rossoneri, ma il risultato è bugiardo: il primo tempo si chiude a reti inviolate e rimane in bilico anche nel secondo, dopo che proprio Asparuhov ha accorciato le distanze dopo che Sormani e Hamrin hanno portato in vantaggio i rossoneri. Poi, dopo un altro gol di Hamrin, il Milan dilaga con una doppietta (fatto letteralmente più unico che raro) di Angelo Anquilletti. Aveva ragione nel pre-partita il Nereo Rocco a preoccuparsi di quel centravanti, fortissimo di testa che, si dice, già abitasse i suoi sogni di allenatore. Fu il motivo per il quale diede fiducia a Fabio Cudicini, “el Longo”, che riteneva più affidabile nelle uscite rispetto a Pierangelo Belli, che era stato titolare fino alla partita prima. E si può forse dire che fu grazie ad Asparuhov che nacque negli anni a venire la leggenda di “Ragno nero”. Gundi segnò anche il gol dell’1-1 nel ritorno a Sofia, e qualcuno sostiene che Nereo chiese insistentemente che Asparuhov venisse acquistato dal Milan. Ma i regolamenti che impedivano il passaggio dei calciatori dei paesi socialisti nelle squadre occidentali erano al tempo ferrei, e non se ne fece nulla. Secondo un’altra fonte, forse leggendaria, fu proprio Gundi a dire di no con una frase ad effetto: "C’è un paese che si chiama Bulgaria. In questo paese c’è una squadra che si chiama Levski Sofia. Probabilmente non ne avete mai sentito parlare ma è il posto in cui sono nato e dove voglio morire".

Asparuhov incrocia il calcio italiano ancora una volta nella primavera del 1968. È la partita per la qualificazione alla fase finale dell’Europeo e gli azzurri perdono a Sofia per 3-2, in quella che fu l’ultima partita in Nazionale di Armando Picchi, infortunatosi gravemente. Gundi non segna ma è grande protagonista di quella vittoria, che sarebbe stata più larga se a sette minuti dalla fine non avesse ci avesse pensato Pierino Prati a ridurre il gap, proprio quel centravanti che pochi mesi prima invocava Rocco per il suo Milan e che si ritrovò in casa senza bisogno di cercare “oltre cortina”. E fu ancora “Pierino la Peste”, nella gara di ritorno a Napoli a spianare la strada del 2-0 con cui gli azzurri respinsero la minaccia bulgara e si qualificarono per il torneo che vinsero due mesi dopo all’Olimpico, nella doppia finale contro la Jugoslavia.

Insomma, a leggere le cronache e a vedere quei rari spezzoni di filmati anni Sessanta, Gundi Asparuhov, talento che sboccia ai confini dell’impero calcistico, bello come un attore del cinema, alto e potente, eppure rapido e molto tecnico sembra assomigliare a un Van Basten del Balcani. E la suggestione nasce forse anche dal brusco e, rispetto al Cigno di Utrecht, molto più drammatico epilogo della sua carriera.

 

Asparuhov di botte ne aveva prese in dieci anni dagli arcigni difensori, in patria e all’estero. Gundi abbozzava, aveva sempre abbozzato. Ma nel finale di stagione del 1970-71, nel corso di una partita contro gli acerrimi rivali del CSKA, subisce un fallo da Plamen Yankov. E reagisce improvvisamente, e con violenza. Non era mai accaduto prima. Viene così espulso e squalificato per alcune giornate. Libero dagli impegni agonistici, chiede e ottiene dalla società il permesso di andare a giocare una partita amichevole per l’anniversario dei 50 anni della fondazione di una piccola squadra di dilettanti a Vratsa, un centinaio di chilometri a nord-ovest da Sofia, una città che curiosamente diventeà famosa anni dopo con la saga di Harry Potter: sono infatti i Vratsa Vultures i più forti campioni europei di quidditch.  

Con Gundi c’è anche il compagno di squadra e di Nazionale Nikola Kotkov, autore, su rigore, del primo gol della Bulgaria nella partita di andata contro l’Italia di tre anni prima. La mattina del 30 maggio 1971 Gundi Asparuhov guida la sua auto, con a fianco l’amico. Si ferma a fare benzina prima del passo di Vitinya, che, attaverso i monti, li porterà a Vratsa. Paga e lascia generosamente il resto al benzinaio. Un autostoppista gli chiede un passaggio e Gundi lo carica. Pochi chilometri dopo, lungo una strada di montagna, alla svolta di un tornante, davanti all’auto di Gundi si para davanti a tutta velocità un grosso camion. Lo schianto è fatale. L’auto prende fuoco e per i tre uomini non c’è scampo. Nello stesso giorno, in seguito a un guasto tecnico nella manovra di rientro sulla Terra, muoiono i tre cosmonauti sovietici, Dobrovol’skij, Pacaev e Volkov, a bordo della navicella spaziale Soyuz 11. Le due tragiche sventure si contendono i titoli dei giornali e dei notiziari.

Ma alcuni giorni dopo sono oltre in 500.000 a rendere omaggio a Gundi il centravanti, 28 anni, 246 partite e 150 gol in campionato, 49 partite e 18 con la maglia della Nazionale. Alla memoria di Asparuhov nel 1990 viene dedicato lo stadio del Levski Sofia e una decina di anni dopo Gundi viene nominato miglior giocatore bulgaro del XX secolo, sorprendentemente davanti a Hristo Stojckov, pallone d’oro del 1994.

Non sono molti i bulgari famosi nel mondo, e sembra che quasi tutti, per diventare famosi, abbiano dovuto lasciarsi alle spalle la madre patria. Spartaco, il gladiatore che guidò la rivolta degli schiavi nel I secolo a.C. in Campania era originario della Tracia, la regione storica corrispondente al sud dell’odierna Bulgaria. Benché sia nato a Ruse, nella Bulgaria del nord, nel 1905, si fa fatica a definire bulgaro uno scrittore come Elias Canetti, Premio Nobel per la letteratura (1981), classico esempio di multiculturalismo novecentesco: di famiglia ebrea sefardita, si formò tra Vienna, Francoforte, Zurigo e Londra, la lingua con cui scrisse le sue opere è il tedesco. Christo Javašev, più noto semplicemente come Christò, alla francese con l’accento sulla o, famosissimo impacchettatore di monumenti e maestro della Land Art contemporanea, ha trovato la sua consacrazione artistica a Parigi, come pure Sylvie Vartan, nata nel 1944 in un sobborgo di Sofia e divenuta, dopo l’emigrazione della sua famiglia, un diva del pop-rock francese tra anni Sessanta e Settanta.

Georgi Asparuhov invece no. È rimasto nel posto in cui era nato e in cui avrebbe voluto morire. Ma a cinquant’anni dalla sua scomparsa, è ancora per tutti il Grande Gundi.

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