Il Foglio sportivo

Indagine sul potere dello sport, più forte anche delle ideologie

Mauro Berruto

Da Nausicaa alla Super Lega, un libro racconta le origini e il futuro di quello che da 3.000 anni muove donne e uomini in tutto il mondo  

"Nessuna espressione dello spirito umano, dalle religioni alle ideologie politiche, ha potuto contare nella storia su un seguito così esteso e pervasivo come quello oggi raggiunto dai grandi eventi sportivi – Giochi Olimpici e Coppa del Mondo di calcio in primis – e da alcuni grandi campioni, come la partecipazione globale al lutto per le morti di Kobe Bryant e Diego Armando Maradona ha recentemente dimostrato”. Eccolo qui, dichiarato nella prefazione dell’autore, il perché di Moris Gasparri, Il potere della vittoria. Dagli agoni omerici agli sport globali (Salerno Editrice, 2021). Tanti autori raccontano lo sport e la sua storia provando a definirne il cosa o il come, Moris Gasparri, un pensatore che nei confronti dello sport alterna il lavoro intellettuale a quello manuale che sarebbero orgogliosi di lui tanto San Benedetto quanto Karl Marx, parte dal perché.

Nel mio piccolo sono orgoglioso anche io, che condivido con Moris un lavoro che trovate, da due anni a questa parte, nell’ultimo numero di dicembre del Foglio Sportivo: la classifica dei cento sport thinkers dell’anno. Beh, anche se per fair play non si dovrebbe dire, Moris Gasparri è uno sport thinker di alta classifica e questo è il motivo per cui il suo libro parte dal perché. Perché lo sport ha un potere che neppure religioni e ideologia possiedono? Perché è il linguaggio universale più universale di tutti? (ok, si accetta un po’ di contraddittorio con la musica, ma giusto per esercizio di democrazia). Perché 2.800 anni dopo le prime tracce di narrazione dello sport, quell’agone omerico da cui incomincia la riflessione sulla fenomenologia dello spirito agonistico, percepiamo ancora la stessa intensità, lo stesso desiderio, la stessa adrenalina, la stessa passione, lo stesso coinvolgimento degli atleti scesi in campo per i giochi organizzati per celebrare la morte di Patroclo raccontati nell’Iliade?

Perché, come Gasparri stesso scrive, “non è possibile comprendere Usain Bolt e Roger Federer senza gli eroi omerici, o Michael Jordan senza Ulisse, l’allenamento professionistico senza i ginnasi antichi, il successo della Premier League senza la realtà del Circo Massimo, l’ossessione per la ricerca della vittoria di atleti e allenatori senza Paolo di Tarso e il cristianesimo storico, i successi francesi nella Coppa del Mondo maschile di calcio senza quel nesso particolarissimo tra le città-stato greche e i propri atleti”? Vi siete spaventati? Non fate errori: non privatevi della gioia di un viaggio nelle parole, nello spazio e nel tempo dello sport che Gasparri scrive come fosse un grande romanzo, con un tono di voce mai didascalico e attingendo a un’aneddotica sconfinata. Si parte dalla Grecia arcaica, come detto, si transita per l’Antica Roma e il Cristianesimo fra stadi e gladiatori che ancora ci appartengono, trasformati in Formula 1 o combattimenti della MMA, e si atterra su un lungo capitolo che si intitola: “Il Rinascimento agonistico” dove incontriamo uno switch narrativo grazie all’introduzione dello strumento più amato e connotato con lo sport: la palla. In queste pagine la grande invenzione sferica resta ferma al centro del racconto i cui estremi, invece, si allungano come fossero un elastico, tenendo insieme la palla di Nausicaa (Federico Buffa nella prefazione la definisce la prima palleggiatrice della storia) che un gesto tecnico impacciato fa scivolare vicino al naufrago Ulisse, la palla a spicchi della Nba e quella presa a calci, la più amata del pianeta. Il capitolo si chiude infatti con una riflessione sulla recente vicenda della Super Lega: una visione dello spettacolo calcistico orientata all’offerta globale, dunque svincolata dalle comunità locali, che avvicina all’idea di franchigia per quei grandi club calcistici perennemente alla ricerca di tifosi-consumatori con grande disponibilità di spesa e la cui residenza diventa un fatto accessorio. Non a caso, sostiene Gasparri, la vera sollevazione popolare che ha fermato (forse rinviato?) il progetto è stata tutta inglese. Nella patria del calcio sono stati i tifosi a imporre la forza dei legami storico-culturali dello sport, facendo distintamente capire che rivoluzioni del genere non possono essere pensate soltanto da esperti di economia o finanza, senza antropologi e sociologi. Questa chiusura della prima parte del libro fa perfettamente da cerniera alla seconda parte de Il potere della vittoria che è una grande overview geopolitica sulla contemporaneità e sullo sport nell’era della globalizzazione. Il primo caso di studio è quello francese, a partire dalle politiche pubbliche volute dal Generale Charles de Gaulle e che, tutt’oggi, si fonda su tre capisaldi: la scuola, la promozione della pratica sportiva per tutti e il perseguimento, sistematico e strategico, del potere della vittoria nelle grandi manifestazioni internazionali. Il viaggio di Gasparri prosegue attraversando la Manica e raccontando dell’impero agonistico inglese, dalla Premier League alla costruzione del successo (organizzativo e agonistico) dei Giochi di Londra 2012, per poi attraversare l’Oceano Atlantico e atterrare nella patria dello sport come strumento di lotta per i diritti. “Nessuno meglio dei grandi atleti afroamericani ha ereditato, nella modernità, lo spirito agonistico e il desiderio di vittoria degli eroi omerici – scrive Gasparri – esprimendo un’identica volontà di affermarsi come i migliori attraverso l’esaltazione della propria superiorità fisica. Per questi grandi campioni, vincere, stabilire record e primati, condurre a sempre nuovi livelli di attenzione e interesse il proprio sport, rappresenta un’ossessione, perseguita con grande spirito di perseveranza, parola chiave del linguaggio sportivo americano. Questo furore agonistico, però, deve la sua esistenza e la sua forza alla capacità di rappresentare un’idea concreta e incarnata di lotta per la giustizia”. Jackie Robinson, Jesse Owens, Bill Russel, Muhammad Alì, Tommie Smith, John Carlos, fino a Le Bron James e Colin Kaepernick, “inventore” del take a knee che sta facendo discutere anche il nostro paese alle prese con l’Europeo di calcio, sono figure iconiche dell’attivismo americano e accompagnano verso la rivoluzione femminista dello sport a stelle e strisce che tanto deve al calcio femminile, di cui Gasparri è grande conoscitore.

Il focus successivo è sulla Cina, protagonista del presente e del futuro dello sport, un pezzo di mondo dove i canti di Pindaro vengono studiati nell’Università di Huawei, la scuola pensata per preparare le risorse umane dell’azienda. Il tratto comune è ancora quello dell’ossessione della vittoria che si tratti di medaglie olimpiche, di Esports o di calcio.

Il capitolo dedicato all’Italia si intitola invece “Tra grandezza e declino” ed è il racconto partecipato e competente di una grandezza novecentesca andata smarrendosi, tanto da identificare come l’evento più rappresentativo della storia degli ultimi anni, l’addio al calcio di Francesco Totti il 28 maggio 2017. Le lucide analisi del declino dello sport del nostro paese preludono all’epilogo che, con un bel colpo di scena, si intitola: “Il potere della sconfitta”. Buffa nella sua prefazione dice: “Questa è la parte che vi consiglierei di leggere per prima, ma non posso”. Già, non posso neanche io. Tuttavia sappiate che questo epilogo è dedicato a due pensatori che sono nel pantheon di Gasparri: David Foster Wallace e Marcelo Bielsa. Il primo, campione di narrazione fiction è capace di capovolgere il paradigma di Omero e di Pindaro: non è interessante il potere della vittoria, ma la zona d’ombra della sconfitta e del fallimento. Il secondo, campione di non-fiction sportiva, dice: “Il successo è deformante rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci aiuta a innamorarci eccessivamente di noi stessi; al contrario, l’insuccesso è formativo, ci rende stabili, ci avvicina alle nostre convinzioni, ci fa ritornare a essere coerenti. Sia chiaro che competiamo per vincere, e io faccio questo lavoro perché voglio vincere quando competo. Ma se non distinguessi quello che è realmente formativo da quello che è secondario, commetterei un errore enorme.” La potenza della vittoria e la necessità della sconfitta, anzi forse una sorta di attrazione magnetica verso la sconfitta: ecco la quintessenza dello sport. Coraggio, studiamo su questo testo, abbiamo ancora un mese. È senza dubbio il modo migliore per farci trovare pronti alla partenza dei prossimi Giochi Olimpici.

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