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Il Foglio sportivo

Spinazzola, miglior attore non protagonista

Giuseppe Pastore

L’estate romana di Euro 2020 finora ha la testa, le gambe e il sorriso del terzini della Roma, l'ultima tentazione di Roberto Mancini

Lo sapevate che all’Olimpico contro il Galles abbiamo perso sei volte su sette? Ma per fortuna quello era Sei Nazioni, mentre la prospettiva che domenica si giochi una partita dell’Europeo di calcio induce alla serenità. Fermiamoci subito a rileggere questa parola che negli ultimi diciotto mesi per molti di noi ha avuto il paradossale effetto di una bestemmia: serenità. Ripetiamola ad alta voce, assaporiamola come il professor Humbert Humbert scandiva il nome di Lolita. Il calcio italiano non è mai stato sereno: men che meno la Nazionale. Cosa c’è sotto tutta questa gioia di vivere? E se fosse la più efferata delle mille pubblicità del ganimede Mancini, testimonial perfetto di qualunque marchio rappresentato da Confindustria? Perché non è ancora saltato fuori un virologo a dubitare di tutto quest’entusiasmo che rischia di diventare – ebbene sì – contagioso? L’estate romana, improvvisa e sfacciata come se fossimo tornati tutti quindicenni, ha la testa, le gambe e il sorriso dell’ultima tentazione del Mancio, un outsider fin qui splendido come miglior attore non protagonista nel ruolo più italiano che ci sia, al galoppo di quella sottile linea azzurra che parte dai divini Facchetti e Cabrini, evolve nello splendido Maldini e nello stile classico di Zambrotta e svolta a sorpresa con cavalli scossi, imprevisti e imprevedibili, stile Benarrivo o Fabio Grosso. Fino ad approdare a Leonardo Spinazzola.

Spinazzola ha spirito e modernità, un retrogusto di anarchia ma anche senso tattico, del ritmo e dell’inserimento, e prima di tutto stupisce per l’immediatezza con cui – dopo un’intera carriera ad alti livelli da esterno a tutta fascia – si è riadattato come terzino sinistro del 4-3-3 di Mancini che però, anche grazie a lui, evolve rapidamente in un 3-4-3 ingestibile per le medie difese europee. La variante-Spinazzola è uno dei motivi per cui prima la Turchia e la Svizzera, trascorso il primo quarto d’ora di studio, hanno presto dimostrato di non capir niente dell’Italia. La velocità parte dalla testa, il motore di tutto, il mistero senza fine bello che fa di questa Nazionale qualcosa di superiore alla semplice somma delle proprie individualità. La testa la trasforma in benzina che scende fino ai muscoli delle gambe che nel corso della stagione avevano rinnegato Spinazzola quattro volte, una in più di Pietro, e gli avevano fatto saltare quasi l’intera semifinale di Europa League contro il Manchester United. Invece adesso Spinazzola non ha paura di stare sospeso su questo sottile crinale, anzi spinge spinge spinge, se dobbiamo dar retta alle statistiche dell’Uefa che con 33,8 km all’ora lo mette al primo posto nelle velocità di punta raggiunte nella prima giornata di Euro 2020 (anche se ci rimane il dubbio che l’Harley Davidson Mbappé vada un filo più veloce). La velocità di Spinazzola non è quella di Mbappé, che ricorda una Formula 1 allo spegnersi del semaforo rosso, né i bisonti di Balla coi Lupi evocati da Lukaku, e nemmeno è leggera e fugace come i tanti esterni brevilinei di cui è disseminato quest’Europeo; ma è più irregolare, rapsodica, frazionata in cambi di passo che hanno stroncato prima Karaman e poi Mbabu (in attesa di avversari più sostanziosi) e rappresentano una delle cento diverse pennellate con cui l’Italia di Mancini sta componendo la sua tela ambiziosa. Usa preferibilmente il destro come tutti gli esterni d’attacco che giocano “invertiti” ma contro la Turchia ha seminato il panico con entrambi i piedi, esaltato da un sistema che gli dà tanto ricevendo tantissimo, esploratore dei pieni e dei vuoti di una squadra che ama ribaltare improvvisamente il fronte e a sinistra trova sempre libero.

Proprio come Fabio Grosso nell’estate 2006, Spinazzola ha 28 anni, molti trascorsi nell’eterno ballatoio tra provincia, panchina e prestiti con diritto di riscatto: ha avuto squarci abbaglianti come la notte della rimonta contro l’Atletico Madrid, marzo 2019, in cui per qualche tifoso juventino divenne “Speed-azzola”, ma poi da quella Juve è stato scaricato, così come dall’Inter che fece saltare uno scambio già concluso con Politano con l’alibi dell’inaffidabilità fisica. È la solita storia dei grandi club che non hanno voglia di credere in connazionali dal cognome qualunque, quadrisillabi toponimici da Italia profonda (Spinazzola è un comune in provincia di Bari e uno scoglio vicino Lipari in mezzo al mar Tirreno), che lasciano andare e poi rimpiangono. Per Spinazzola il gran rifiuto dell’Inter è stata la molla per scavalcare l’ultimo scalino che mancava per lasciarsi alle spalle la dimensione di “cavallo pazzo” ammessa in prima persona, capace solo di andare a mille all’ora senza mai riuscire a gestirsi. E invece, la vita dell’esterno sinistro (o del terzino, che dir si voglia) è una lunga attesa interrotta da un numero centellinato di scorribande, al massimo cinque o sei, rispondendo un po’ alla strategia un po’ all’istinto, come un impetuoso assolo di violoncello che parte quando è necessario, né un attimo prima né dopo. Le sue euro-discese stanno avvenendo nella sorpresa del resto del mondo: di qui l’immediato paragone con Grosso, da cui lo separano diversi aspetti tecnici e fisici, ma lo accomuna una componente fondamentale del calcio per Nazionali, molto più fondato sull’ispirazione e sul momentum rispetto alla versione per club. I tornei estivi vivono e muoiono su pochi selezionati episodi, decisi da uno stato di grazia che dura poco, a volte anche una partita sola. Riconoscerli è difficile, afferrarli ancora di più: ma quando succede, puoi risolvere un ottavo con l’Australia, puoi battere la Germania, puoi calciare l’ultimo pallone dell’unica finale della tua vita, e se ti va bene vinci casomai i Mondiali.

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