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Lothar Matthaus über alles

Furio Zara

Compie sessant'anni uno dei centrocampisti più forti degli anni Ottanta e Novanta. I successi al Bayern e all'Inter e quel vizietto di non rincorrere solo il pallone ma anche le donne

Acciaio e fil di ferro, capitano coraggioso, leader per naturale inclinazione. Lothar Matthaus fa 60 anni (è nato il 21 marzo 1961) e se chiudiamo gli occhi par di vederlo, tedesco come noi immaginiamo i tedeschi - Deutschland über alles/über alles in der Welt - mascella tesa, le labbra serrate, lo sguardo pulsante di ferocia. I pochi che lo hanno visto sorridere raccontano di una fila di denti bianchissimi, simili a baionette al sole. Quando Lothar entrava in campo pareva di sentire il battere dei tacchetti di ferro sulla terra, echi di una mitragliatrice che spara da lontano in un film neorealista.

 

Nato in Baviera, figlio di Heinz e Katharina, entrambi dipendenti della Puma, ragazzo prodigio con il Borussia M'Gladbach, poi alfiere del Bayern, quattro gloriosi anni all'Inter, il ritorno a Monaco e infine una comparsata da Buffalo Bill a gettone con i Metrostars di New York, al tramonto di una carriera luminosissima. 21 anni di tackle, dal 1979 al 2000. 150 presenze con la Germania (record assoluto), cinque Mondiali disputati, dal primo - Spagna 1982, era in panchina quando l'Italia di Bearzot trionfò al Bernabeu - all'ultimo, Francia 1998. In mezzo ha alzato la Coppa del mondo nella notte non più magica - almeno per noi - dell'Olimpico, dopo aver battuto l'Argentina del Maradona che ferito e offeso prima del via sibila il celebre "Hijos de puta" agli italiani che lo fischiano. E’ la rivincita della Germania. Quattro anni prima - in Messico - Lothar si era dovuto arrendere alla grazia (albi)celeste de La Mano de Dios. Quell'anno - 1990 - porta a casa anche il Pallone d'Oro.

A proposito, fu Maradona - che ne riconosceva l’allure - a definirlo: "Il miglior avversario che abbia avuto in tutta la carriera". Certamente il più duro da scrollarsi di dosso. Matthaus è stato per almeno un decennio - quello che dagli anni ’80 scavalla nei ’90 - uno dei due-tre migliori centrocampisti al mondo. Volitivo e mai domo, i movimenti solo all'apparenza rigidi: in campo era un furetto indiavolato che suppliva ad una tecnica elementare ma efficace con il carisma, la personalità, verrebbe da dire la "garra" sudamericana se non parlassimo di uno cresciuto a botte di crauti e würstel. I tifosi nerazzurri lo adorano, Matthaus è l'uomo-poster dell'Inter dei record, quella che nel 1988-89 vinse lo scudetto con Trapattoni in panchina, un altro tedesco - Andy Brehme - a presidiare la fascia, un ballerino di tango argentino - Ramon Angel Diaz - a fungere da centravanti e una batteria di italiani di altissimo livello: Zenga e Bergomi, Ferri e Bianchi, Berti e Serena. Suo il gol della matematica certezza del tricolore, a San Siro, contro il Napoli (ancora Maradona di fronte). Su punizione, la sua specialità: botta secca e definitiva, rasoterra. In campo Matthaus era la prolunga del Trap. Due uomini, una sola anima. Il suo gioco era asciutto, tedesco nella filosofia. Mai una sbavatura, mai un ricamo, mai un capriccio. Se toccava menare qualcuno, non si tirava indietro. Randellava, Lothar. Ma con giudizio. Era necessario, quindi fatevene una ragione.

   

Quando ha smesso è stato tenuto a distanza dai boss del Bayern. "Non lo vogliamo nemmeno a fare il giardiniere", disse anni fa Uli Hoeness, appoggiato da Kalle Rummenigge. Di recente Lothar si è fatto fotografare mentre taglia l'erba dell’Allianz Stadium. L'ha presa con ironia. Monaco si è dedicato con ostinazione al lavoro di allenatore, ma ha raccolto poche soddisfazioni. Ha girato il mondo, dal Brasile all’Ungheria, vincendo un titolo serbo-montenegrino con il Partizan e uno al Salisburgo, da vice del vecchio maestro, il Trap. E’ un amante compulsivo, collezionista di love story. In numero di cinque i matrimoni, accompagnandosi a fanciulle sempre più giovani, rincorrendo il tempo perduto come da calciatore rincorreva gli avversari, con la bava alla bocca e il ghigno sinistro. Non sempre gli è andata bene. Conobbe la terza moglie - la serba Marijana Kostić - in un night club di Belgrado. Un mese dopo il matrimonio lei era già dall’avvocato a chiedere la separazione. Con la quarta - la giovanissima modella ucraina Kristina Liliana Chudinova - si sposò a Las Vegas, come in un film dei Vanzina. Lei lo tradì quasi subito. Matthaus lo scoprì sfogliando un tabloid: c’era Kristina Liliana avvinghiata al terzo dei Bronzi di Riace. Dopo la beffa, pure l’onta. I genitori alla Bild confessarono di "vergognarsi per la vita dissoluta che conduce nostro figlio".

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