that win the best

Il campione impegnato piace solo se è liberal e poco maschio

Le polemiche sul machismo di Ibra e gli stemmi delle squadre cambiati per la campagna sulla biodiversità

Jack O'Malley

A proposito di Zlatan – sempre sia lodato – scopro che il Partito Gay italiano ne avrebbe denunciato la mascolinità eccessivamente tossica esibita sul palco del Festival di Sanremo

Questa storia dell’impegno politico da parte di chi fa sport inizia a sfuggire  di mano.  Del botta e risposta tra Ibrahimovic  e LeBron James sull’opportunità per un campione famoso di sostenere pubblicamente certe posizioni politiche è stato detto di tutto, tranne quello che andrebbe detto: il punto non è tanto che un calciatore o un pilota o un cestista esprimano opinioni politiche, ma che quei campioni vengano elogiati per il loro impegno fino a che e soltanto se quelle opinioni  piacciono e sono accettate da chi la pensa giusta. Bene stare con Biden, male dire di votare Salvini, ottimo denunciare il razzismo, male dedicare  un gol a Erdogan, bene indossare la felpa di Open Arms in panchina, guai fare sapere di essere antieuropeisti. Il guaio è che la grande squadra della correttezza politica sta anestetizzando anche la nostra appartenenza sportiva. È di qualche giorno fa l’adesione di diverse società di calcio – soprattutto inglesi – alla campagna del Wwf “contro la perdita della biodiversità”. Dagli stemmi di Wolves, Aston Villa, West Bromwich, Millwall, Roma e altre squadre sono scomparsi gli storici  animali simboli di queste società. La pretesa di sensibilizzarci ed educarci ai valori che piacciono alle università dell’Ivy League deborda ormai in ogni ambito della nostra vita, e lo fa a colpi di fuffa comunicativa che giornalisti formati con lo stampino in costosi master rilanciano moraleggiando.

Ancora a proposito di Ibra – sempre sia lodato – scopro che il Partito Gay italiano ne avrebbe denunciato la mascolinità eccessivamente tossica esibita sul palco del Festival di Sanremo. Chi se non quel gazzettino del pensiero banale che è Repubblica poteva rilanciare la polemica aggiungendo annotazioni da aperitivo alcolico su Zoom tra femministe? Ibra arriva all’Ariston grazie al passaggio di un motociclista passato di lì mentre lui  era bloccato con l’auto? Come si permette, così non fa altro che “trasmettere questa idea di maschio inarrestabile (neppure una coda di tre ore in autostrada può fermarlo) in prima serata”. Scherza dicendo che Amadeus dovrebbe stare in cucina a fare il caffè?  Così “bullizza” il conduttore (pensate se avesse detto che il caffè lo doveva fare una donna). Il capolavoro però è nel finale dell’articolo, dove la giornalista di Repubblica  scrive che se “volevano un calciatore famoso per alzare lo share non avrebbero dovuto dimenticare che per piacere al pubblico, farlo divertire e magari perché no riuscire anche a essere inclusivi, non basta saper segnare un gol”. E quindi perché non “chiamare Francesco Totti?”. E poi si offendono quando qualcuno dice che alcune donne parlano di calcio per luoghi comuni. Nel remake di Space Jam (con LeBron: tutto torna) hanno tolto le tette alla coniglietta per renderla “meno sexy e più strong”. Finirà che quando  torneremo allo stadio (noi inglesi prima di voi europei, mannaggia alla Brexit)  troveremo le partite di calcio  insopportabili esibizioni di mascolinità e torneremo a casa a mangiare gratin di patate e gamberi e bere acqua leggermente frizzante. 

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