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Il Foglio sportivo

Ecco come finirà il girone di Champions dell'Inter

Giuseppe Pastore

Attese, suicidi, calcoli, gol, e un finale (ovviamente) da pazzi. Fantacronaca preventiva e totalmente immaginaria di Inter-Shakhtar e Real-Borussia,

Le parti in commedia

 

Inter: Revenant, come Di Caprio nella neve. Sopravvissuti a un’eliminazione che sembrava pressoché certa, e invece no. Italiani, sospettosi per definizione, allenati da un arci-italiano. 

  

Real Madrid: quarta in Liga, a novanta minuti dalla sua prima eliminazione in un girone di Champions dopo 25 anni. Nobile decadutissima e piena di paure, come la regina malata di gotta in The Favourite di Lanthimos. Padrona di casa in un campo semi-parrocchiale al centro sportivo di Valdebebas, situazione che azzera il miedo escenico del Bernabeu.

  

Borussia Monchengladbach: la nave pirata. Partita dalla quarta fascia, ha sprecato in casa il primo match point. Contro l’Inter ha mandato in campo quattordici europei su quattordici, tedeschi, austriaci, svizzeri, francesi: gente solitamente affidabile, talvolta calcolatrice, non sempre con successo.

 

Shakhtar: scheggia impazzita, colonia penale di ucraini e mercenari brasiliani fuori come un vaso di gerani: basta dire che al fischio d’inizio della partita partono qualificati pur con una differenza reti di -7, eredità dello 0-10 incassato dal Borussia.

  

La Champions più raffazzonata che si ricordi offre di colpo il girone più paradossale della sua storia: come le gare di ciclismo su pista negli anni Sessanta al Velodromo Vigorelli, in cui chi si muoveva per primo era perduto, in un estenuante surplace a oltranza. Come diceva quella canzone anni Ottanta, don’t you worry about the situation (come no).

  

10’. Nelle sue migliori serate l’Inter non è capace di stare negli scarpini: dopo dieci minuti Lautaro Martinez ha già sbloccato il risultato con un violento colpo di testa su cross di Young. Nessun cenno di apprezzabili reazioni dallo Shakhtar: è pur sempre una squadra che ne ha presi cinque dall’Inter a metà agosto, e all’andata ha portato a casa lo 0-0 solo per puro caso. Come da piani di battaglia srotolati sui tavoloni dei rispettivi quartier generali, l’1-0 dell’Inter paralizza ulteriormente la situazione sia a San Siro che a Valdebebas, dove a centrocampo Toni Kroos sta dirigendo le operazioni con piglio da feld-maresciallo.

 

Intervallo. Negli spogliatoi, spaventati dai monitor sintonizzati su Sky che trasmettono le immagini del nulla in corso a Madrid, i giocatori dell’Inter chiedono consulenze. Dopo un lungo e accigliato silenzio, Conte prende la parola. “Ascoltatemi bene. Faremo così: li faremo pareggiare il prima possibile”.

 

48’. Lo Shakhtar non ha propriamente il sangue agli occhi, eppure una lunga serie di controlli sbagliati e sciatterie più o meno volute da Gagliardini e soci porta l’avvelenato Dentinho fino al limite dell’area. Il suo destro rasoterra, simile a quello che ha trafitto Courtois martedì scorso, s’infila più o meno a metà porta, bucando Handanovic – come spesso succede da qualche mese – al primo tiro nello specchio.

 

54’. Il battito d’ali a San Siro provoca un terremoto a Madrid, dove la connection ispano-tedesca – pensando d’essere più furbi degli altri e sottovalutando il genio italico – s’era affidata al buonsenso. Come uno svegliato di soprassalto ha ancora una coordinazione psico-motoria rivedibile, anche il Real ridestato bruscamente combina disastri: al primo corner a favore si riversano in avanti e prestano il fianco alla ripartenza di Pléa e Marcus Thuram, che con la sua falcata alla Edwin Moses infligge il terzo dispiacere in due partite all’amico di famiglia Zizou.

 

62’. In questo scorcio di passate juventinità, Conte sogghigna sotto il bavero del giaccone. Il piano procede spedito: uno schiocco di dita e l’Inter riprende a spingere a tavoletta. Una percussione centrale e verticale Brozovic-Lukaku, arginata a fatica dalla difesa dello Shakhtar, porta al sinistro vincente dal limite dell’area di Arturo Vidal, che dà finalmente un senso ai suoi primi quattro mesi di Inter. Conte serra i pugni, poi allarga le braccia e fa ampi gesti ai suoi pretoriani di congelare la situazione.

  

73’. Il Madrid schiuma rabbia e colleziona calci d’angolo: la prospettiva dell’abisso toglie lucidità anche ai saggi del gruppo e l’unica arma a disposizione, cercata con isterica ripetitività, è quella dei palloni alti per Varane, Ramos e Benzema. Ma al settimo corner in venti minuti il capitano del Madrid viene affossato dal suo diretto marcatore, aggiungendo alla caduta l’effetto sonoro di un urlo che nel silenzio di Valdebebas sembra quello di una madre straziata dal dolore: penalti! “Il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione”, diceva il capo di una famosa banda di tizi vestiti di bianco. Proprio come il Real Madrid: Sergio Ramos affronta Sommer, il suo peggior incubo, ovvero il portiere che a novembre in Svizzera-Spagna gli aveva parato due rigori in mezz’ora, e lo irride con il cucchiaio. Risultato di nuovo in parità: passano Real e Borussia.

  

82’. Lo sconforto dell’Inter e di Conte sono tali che entra persino Eriksen. Una scia di serpeggiante nervosismo collettivo, a cominciare ovviamente dal dionisiaco Vidal, conduce a una dormita collettiva su calcio d’angolo di cui beneficia un oscuro difensore ucraino di nome Stepanenko o Matviienko, non si capisce nemmeno dal replay, che riporta in linea di galleggiamento lo Shakhtar e nel baratro il Real, di nuovo condannato dal doppio pareggio.

 

87’. Ma se c’è una cosa che al Madrid è sempre rimasta fuori dalla porta, quella è il senso di sconfitta. Nel disprezzo più totale dell’equilibrio e della ragione, in preda al più sfrenato istinto di conservazione, la banda-Zidane trova il 2-1 con un missile dai 28 metri senza rincorsa di Modric, l’unico Pallone d’Oro del decennio ad aver fatto meno di 700 gol in carriera. Passano Real e Shakhtar. Certo, a meno che…

 

93’20”. Con il passo dolente di una canzone invernale di Guccini, l’Inter conduce i suoi ultimi sgangherati assalti, fuocherelli pallidi e lontani, mentre i brasiliani dello Shakhtar si fingono vittime di un plotone di fucilazione ogni venti secondi e su San Siro cadono i primi fiocchi di neve. Nel quarto dei quattro minuti di recupero Barella si catapulta su un pallone vagante ai 19 metri, arma il destro ma viene affondato a corpo morto dal difensore Bondar. Eriksen sistema il pallone sulla lunetta, mentre infuria una bufera shakespeariana. Un urlo nella notte, dal secondo anello: “Non segniamo su punizione da 124 partite!”. Il pallido danese incrocia per un istante lo sguardo vitreo di Conte a bordo campo, poi arretra di tre passi per una breve rincorsa, mentre il ghiaccio gli bagna la barbetta bionda, come Di Caprio nella neve.

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