il foglio sportivo
Nuovi Pelé che non lo erano
Quanti giocatori sarebbero stati O Rei se non ci fosse stato O Rei? Breve storia dei calciatori marchiati da un soprannome ingombrante e impossibile da portare senza sfigurare
Vite che volevano essere la sua. Uomini marchiati da un soprannome ingombrante, offesi dal più scomodo dei paragoni, prima esaltati e poi mortificati dallo spropositato confronto con quella meravigliosa creatura che il Sunday Times, all’indomani del trionfo brasiliano ai Mondiali del 1970, glorificò con un titolo rimasto celebre: “Si scrive Pelé, si legge Dio”. E dunque il fantasmagorico Pelé – due sillabe, schiocco della lingua, movimento del pallone che rimbalza – ha compiuto 80 anni venerdì e nell’intreccio di amorosi sensi con cui viene celebrato in questi giorni, abbiamo qui scelto di raccontare quelli che – per giovinezza o per errore – si sono visti battezzare una seconda volta e per sempre. I Pelé che non erano Pelé. Perché in ogni apelido – come dicono i sudamericani – vi è la traccia di un rimpianto, vi si scorge la rassegnazione che scorre sotto la pelle di chi – al momento dell’investitura – accetta un biglietto di seconda classe. Per dove, amico? Per qualsiasi posto, in un altrove che ci dia conferma di quanto dice Ethan Hawke in Gattaca (perla del 1997, ripescatelo) ovvero che “non esiste un gene per il destino”.
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