Nel nome della rosa

La volata rosa di Silvio Martinello

Marco Pastonesi

Il Giro d'Italia del 1996 e quella vittoria "olimpica" ad Atene nella prima tappa. Doveva lanciare le volate a Cipollini, si ritrovò davanti a tutti

Il 18 maggio 1996. Un sabato. Prima tappa del Giro d’Italia, la Atene-Atene di 170 km, in Grecia nel Centenario – in ordine di apparizione al mondo - della “Gazzetta dello Sport” (3 aprile) e della prima Olimpiade dell’era moderna (6 aprile). Pronti? Via.

  

“Sveglia, colazione, pullman. Prima del pronti-via, la riunione: tutti per Cipollini, Cipollini per tutti. Una strategia conosciuta, una squadra collaudatissima. Le solite raccomandazioni, i consueti ruoli. Io: ultimo vagone – e regista - del treno-Saeco. C’era anche una salitella, Aghios Stefanos. Senonché, a una ventina di chilometri dall’arrivo, Mario ci disse di non stare bene e dall’ammiraglia ci dettero il ‘liberi tutti’. Volatona. Mi arrangiai. Vinsi bene. Secondo Guidi, terzo Zanini, quinto Traversoni, settimo Lombardi, ottavo Baffi, solo per dirne alcuni. E poi la maglia rosa. Chi l’avrebbe mai detto? Chi l’avrebbe mai sperato?”.

 

Silvio Martinello aveva 33 anni, di cui 10 (quello era l’undicesimo) da professionista: “Ero in quel gruppo dal 1991, prima come Mercatone-Saeco, dal 1996 solo come Saeco. E con ‘Cipo’ stavo dal 1994. All’inizio il suo pesce pilota era Eros Poli, finché Luciano Pezzi – osservava la corsa, guardava negli occhi, parlava con tutti – mi promosse. I risultati gli dettero ragione. Il treno, il primo vero grande treno, aveva ormai trovato sincronismi perfetti: Biasci e Fornaciari a costringere il gruppo a disporsi in lunga fila indiana, poi Calcaterra, Scirea, Poli e io, e certe volte ci aiutavano anche gli uomini di classifica, da Casagrande a Bartoli e Lelli. Cipollini non aveva rivali: spadroneggiava, potente e dominante”.

 

Però in Grecia non andava: “Neanche a calci. La seconda tappa fu vinta dallo svedese Glenn Magnusson su Zanini e lo spagnolo Edo, e io mantenni la maglia rosa. Nella terza tappa s’impose Lombardi e Zanini, ancora secondo davanti a me terzo, mi sfilò la maglia rosa grazie agli abbuoni. Poi ci fu il trasferimento in Italia. E nella quarta tappa, la Ostuni-Ostuni, Cipollini resuscitò. Fu una situazione stranissima: la squadra che lavorava per Mario, io che mi arrangiavo da solo. Prima dell’arrivo c’erano alcune rampe che mettevano in difficoltà i velocisti. Sull’ultima, ai meno 3 dall’arrivo, mi accorsi che Mario si stava sfilando. Pensai: è andato. Invece ai meno 800 metri dal traguardo me lo vidi arrivare. Ai meno 250 da una parte della strada io e Guidi lanciammo la volata, testa a testa, finché lo superai, ma ai meno 50, dall’altra parte della strada, con la coda dell’occhio vidi una ruota che spuntava, che avanzava, che mi rimontava, che mi precedeva. Era quella di ‘Cipo’. Primo lui, secondo io, terzo Guidi”.

  

Un trionfo imbarazzante: “Trionfo perché avevamo conquistato tappa e maglia. Imbarazzante perché ci eravamo comportati più da avversari che da compagni. Eravamo, vivevamo, abitavamo, ci comportavamo, correvamo separati in casa. Nella quinta tappa la vittoria andò a Edo e io mantenni la maglia rosa, nella sesta tappa e maglia andarono al francese Hervé. E in squadra, fra di noi, sempre quel clima: con ‘Cipo’ concentrato sulle tappe, ne avrebbe vinte altre , e io a lottare per la maglia ciclamino a punti e anche per quella dei traguardi dell’Intergiro. Finché a metà Giro mi ritirai per dedicarmi all’Olimpiade di Atlanta. Meglio così: avrei vinto l’oro nella corsa a punti”.

 

Una rosa con le spine: “Ne ho ancora una, a casa, in un armadio, accanto a quelle iridate e tricolori, le altre le ho regalate. Con Mario ci si sente, ci si scrive, ci si confronta. Da amici, o quasi. Lo ritengo un valore per il nostro ciclismo. Nella sostanza ha spesso ragione, ma a volte i modi sono quelli propri del velocista. Può comunque dare ancora tanto”.

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