il foglio sportivo

“Il basket? Meglio in Cina che in Europa”. Parla Pianigiani

Umberto Zapelloni

L’ex c.t. azzurro Pianigiani è andato ad allenare i Beijing Ducks. E a Pechino trova un campionato che vuole assomigliare all’Nba  

L’idea della Cina gli frullava in testa da un po’ di tempo. Tutta colpa di una cena a base di pesce, crostacei e frutti di mare. Non era un ristorante cinese, ma un elegante locale in Versilia. E non ci vollero neppure troppi bicchieri di bianco ghiacciato perché Simone Pianigiani si lasciasse affascinare dai racconti del suo compagno di banchetto, Marcello Lippi, c.t. campione del mondo di calcio che in quel periodo stava vivendo la sua avventura nel calcio di un oriente che più estremo non si può. Pianigiani, che come Lippi è stato c.t. azzurro, ha preso quei racconti e li ha immagazzinati nella sua memoria tra schemi e profili di giocatori. Così, qualche settimana fa, quando hanno cominciato ad arrivargli telefonate e mail dalla Cina è andato a ripescare quei racconti che lo avevamo affascinato. Ci ha aggiunto il progetto che gli è stato prospettato, l’ingaggio che gli è stato proposto e ha detto sì. Si è sentito un po’ come Demi Moore con Robert Redford tanto la proposta era indecente. Anche se il diretto interessato non conferma sembra gli sia stato proposto un triennale che regge il confronto con i migliori allenatori di Eurolega. Non sono le cifre di Lippi, il basket non è il calcio, ma sono cifre per cui puoi anche essere disposto a mangiare involtini primavera per anni. Tra qualche settimana, sbrigate le pratiche burocratiche con il consolato, volerà a Pechino per sedersi sulla panchina dei Beijing Ducks, una società relativamente giovane (fondata nel 1995) che ha al suo attivo tre campionati che forse potremmo anche chiamare scudetti (l’ultimo nel 2015, quando in campo c’era Stephon Marbury che sulla sua avventura ha anche girato un docufilm, My Other Home). Quando Pianigiani fa scorrere sul suo smartphone le immagini delle strutture dove andrà a lavorare si capiscono altre cose. Più che la Cina sembra la Nba. L’impianto da 18 mila posti dove si tornerà a giocare finita l’emergenza Covid è qualcosa che in Italia ci sogniamo.

 

Pianigiani, 51 anni compiuti a fine maggio, è un uomo di mondo. Dopo le vittorie con Siena (5 scudetti, 5 supercoppe, 3 coppe Italia), quelle in Turchia (coppa nazionale con il Fenerbahçe) e Israele (scudetto e coppa di lega con l’Hapoel, mica con il Maccabi) sono arrivati i successi milanesi (uno scudetto e due supercoppe) con un’avventura che si è interrotta quando il ginocchio di Gudaitis ha fatto crack, lasciando poi il posto alla rivoluzione Armani che ha portato Ettore Messina in panchina e Leo Dell’Orco in regia. Così dopo una stagione trascorsa tra clinic e convention, l’ex c.t. azzurro non ha resistito al richiamo della panchina anche se arrivava da molto lontano.

 

Ai Beijing Ducks, le Papere di Pechino, è uscito Jeremy Lin, quello della Linsanity di qualche anno fa a New York, ed è entrato Pianigiani. Lin è ripartito per gli Usa a cercare gloria nuova in Nba, Pianigiani sta facendo i bagagli per la Cina tra una collegamento intercontinentale con Pechino dove sta Rick Sund, il gm con quarant’anni di esperienza Nba (tra Atlanta, Dallas, Seattle e Detroit), e un altro con la California dove risiede la presidentessa Qin Xiaowen, chiamata  Sharon con il nome americanizzato, che è anche a capo del baseball e fa parte del comitato olimpico cinese. “Non cercavo una squadra a tutti i costi. A questo punto della mia vita puntavo a un’esperienza che valesse la pena, aspettavo una proposta di alto livello. In Europa in questo periodo post pandemia la situazione è molto ingessata e non c’era nulla di realmente stimolante come questa proposta. In passato mi hanno sempre attirato esperienze affascinanti anche dal punto di vista personale come la Turchia e Israele, esperienze che mi hanno arricchito molto”.

 

“Quando mi hanno contattato ho scoperto che erano stati due volte a vedermi in azione dal vivo, ho capito che erano venuti a cercarmi perché volevano proprio me. Mi ha colpito che mi abbiano cercato dopo aver studiato quello che avevo fatto, aver seguito il mio lavoro. Mi hanno proposto di aiutarli a fare un ulteriore salto di qualità dopo la ristrutturazione degli ultimi anni in cui non hanno più vinto il titolo. Andare in Cina in questo periodo non mi spaventa. A leggere i dati dei contagi che vengono comunicati ogni giorno la situazione sembra molto più preoccupante in Europa dove presto le squadre ricominceranno a viaggiare per le Coppe. Mi pare ci sia incertezza dovunque nel mondo. In Cina mi raccontano di una situazione sotto controllo e soprattutto nella prima fase del campionato, 18 partite in 42 giorni, noi entreremo in una bolla proprio come ha fatto la Nba. Anch’io dovrà stare in quarantena una volta arrivato prima di cominciare ad allenare”. Pianigiani partirà per Pechino con Giulio Griccioli, già suo assistente ai tempi di Siena  e poi capo allenatore a Capo d’Orlando e  a Scafati. La società gli metterà a disposizione interprete, autista e una suite al Grand Hyatt. Il basket cinese che sta studiando in video è tutto da scoprire: “I membri dello staff, staff dal general manager al medico, al preparatore atletico, hanno tutti esperienze nella Nba, e anche il team manager, che è cinese, ha fatto l’università negli States. Le regole permettono tre stranieri in rosa, ma uno solo in campo. I ragazzi però parlano  inglese, non ci saranno problemi di comunicazione. Il livello degli stranieri è molto alto, tutta gente che ho incontrato in Eurolega con Milano. Essendoci una prevalenza di giocatori cinesi c’è certamente meno atletismo di quello a cui siamo abituati in Europa, ma  ci sono atleti di taglia, alti, grossi. Dal punto di vista tecnico hanno tutti  ruoli ben definiti, potrei definirli specialisti. Ci sarà più lavoro sulla tecnica da fare, e questo è certamente un aspetto che mi attira”. Il campionato prevede 56 partite in giro per la Cina (quando si uscirà dalla bolla) . Quasi trasferte da Eurolega tutte le settimane, prima dei playoff.

 

Volerà via proprio mentre il basket italiano ripartirà con uno sponsor del campionato, Unipol Sai, alla caccia di un nuovo trofeo, decisamente bello. “Se mi mancherà il basket di casa nostra? No”. Lo dice convinto. Almeno pare. L’accredito del primo stipendio toglierà anche l’inevitabile nostalgia  che prima o poi arriverà.

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