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il foglio sportivo

Perché Djokovic divide il tennis

Giorgia Mecca

Il numero 1 al mondo ha fondato un’associazione per tutelare i giocatori, “ma questo sport non si salva pensando solo ai soldi”, ci dice la fondatrice di Racquet Magazine

La prima pietra l’ha scagliata Novak Djokovic domenica scorsa alla vigilia degli Us Open, il primo Slam in epoca di pandemia. Mentre il tennis si preparava a ripartire, il numero uno del mondo ha annunciato la creazione di una nuova organizzazione, la Ptpa, l’associazione dei tennisti professionisti che, come ha scritto nella email in cui ha chiesto ai colleghi di aderire, ha l’obiettivo di “promuovere, proteggere e rappresentare gli interessi dei giocatori che ne faranno parte, e di proteggere il futuro del tennis”. La Ptpa, ha chiarito di non volersi sostituire alla Atp, l’associazione dei tennisti professionisti, né di voler boicottare i tornei che organizza, “si interesserà soltanto ai bisogni dei giocatori”. 

  

Il futuro di questo sport ha bisogno di una nuova associazione? A questa domanda Caitlin Thompson, cofondatrice nel 2016 di Racquet, la rivista di tennis più bella del mondo, risponde scagliando la seconda pietra. “Il futuro del tennis non ha bisogno di Djokovic, o comunque non ha bisogno di un’organizzazione che pensa soltanto ai soldi”. Altro che comunione di intenti, unità, pace e fratellanza. “Lo stanno vendendo come un atto di generosità nei confronti dei giocatori con un ranking basso, ma è una scusa per guadagnare tutti di più”. Follow the money, sempre e così sia.

   

Novak Djokovic non è Robin Hood e nessuno gli ha chiesto di esserlo. “Nel documento inviato ai giocatori non esiste un piano definito, parla di inclusione ed esclude le donne e la stragrande maggioranza dei tornei minori e dei challenger, come se il nostro movimento fosse basato sui quattro slam e sui soliti quattro giocatori”. Non si vive di soli Australian Open, Wimbledon, Us Open, e Roland Garros; secondo Thompson, se si vuole fare un ragionamento in prospettiva sul futuro di questo sport bisogna considerare il tennis nel suo insieme. Professionismo ad alti livelli ma non solo: “Perché chi vuole salvare il tennis non parla del movimento di base, degli amatori, dei circoli ricreativi, delle bambine e dei bambini che ancora oggi trovano difficoltà ad accedere ai campi? Perché non si insegna tennis nelle scuole? Perché ancora oggi è considerato uno sport d’élite, anche se non è più così? Queste sono le questioni che avrei voluto che fossero sollevate”. Invece sempre e solo soldi, prize money di milioni di euro che non bastano mai. La Ptpa ha tra i suoi adepti Pospisil, Raonic, Querrey, Isner, Berrettini, Mager. Zverev, anche se non ha ancora firmato, si è mostrato interessato alla causa umanitaria portata avanti dal numero uno al mondo. “Pur avendo guadagnato tanti soldi si preoccupa degli altri”. Tra i grandi assenti ci sono Roger Federer e Rafa Nadal che hanno detto no, grazie. “È il momento dell’unità, non delle separazioni. Ci sono problemi più grandi”, ha scritto lo spagnolo. Anche Murray si è rifiutato di firmare la lettera. “Credo che il nuovo esecutivo Atp abbia bisogno di più tempo”. Lo scozzese, ritornato a giocare uno Slam dopo due operazioni all’anca ha anche sollevato la questione di genere: “E le donne?”.

  

Il nuovo presidente della Atp Andrea Gaudenzi è stato nominato a gennaio, poco prima del lockdown. Come ha fatto notare Richard Evans su Tennis.com, “Gaudenzi non può essere accusato di avere fatto niente di positivo e niente di negativo. Non ne ha ancora avuto la possibilità”. Effettivamente, il tempismo di Djokovic è discutibile, ai limiti della provocazione: nel momento in cui il tennis, chiuso dentro a una bolla (e, come fa notare Thompson, “il tennis dentro la bolla è meglio che niente tennis”), prova e riesce a ripartire con uno sforzo gigantesco da parte di tutta la comunità lui annuncia la scissione dalla Atp. “Ci sono giocatori che credono di essere il tennis, vogliono il centro dell’attenzione e i soldi che ne derivano, come se tutto dipendesse da loro. Personalmente, se non vedessi più Djokovic, Federer, Nadal o Serena in campo, continuerei ad amare il tennis ugualmente. Anzi, forse sarebbe il caso di votare pagina, li ho visti giocare e vincere abbastanza. Adesso c’è bisogno di facce nuove: Auger-Aliassime, Tsitsipas, Berrettini, Sinner (mi è così dispiaciuto che abbia perso)”, continua Thompson.

  

Il socio di Djokovic nella nuova avventura, Vasek Pospisil, numero 94 del ranking, annunciando il suo ritiro dal consiglio dei giocatori Atp ha scritto: “È sempre più chiaro che è difficile, se non impossibile, avere un impatto sulle decisioni prese dal Tour”. Anche il giocatore serbo si lamenta di avere poca voce in capitolo. Thompson la pensa diversamente: “A me sembra un uomo affamato di potere, non è la voce che gli manca, è stato presidente dell’Atp council (prima di dimettersi pochi giorni fa), è il numero uno del mondo, imbattuto da una stagione intera. Ciò che gli manca è l’adorazione degli altri, il modo in cui si comporta è un estremo tentativo per cercare di ottenerla”.

  

Soldi, soldi e ancora soldi. Per fortuna ci sono delle eccezioni. Dall’altra parte del genere, tra le opinioni mai prese in considerazione dalla Ptpa, c’è quella di Naomi Osaka, ex numero uno del mondo e vincitrice a Flushing Meadows nel 2018. L’anno scorso, la tennista giapponese che a ventidue anni è diventata l’atleta donna più pagata al mondo con 37 milioni di dollari di guadagni, ha riunito tutti i suoi sponsor intorno a un tavolo. La giocatrice, senza mai menzionare il vil denaro ha detto: “Questo è quello in cui credo, questi sono i miei valori e la mia missione. Che cosa potete fare per aiutarmi?”. In questi giorni a New York Osaka si presenta in campo ogni sera con una mascherina con scritto un nome diverso, il primo è stato quello di Breonna Taylor la ventiseienne afroamericana di Louisville uccisa da tre agenti della polizia il 13 marzo scorso. “Vorrei che leggendo questi nomi, alle persone venga voglia di andare a cercare al loro storia”. Non è marketing, è la Next Gen. “Naomi sta facendo qualcosa di nuovo, che gli atleti una volta non avrebbero voluto né potuto fare”. Per molto tempo gli sportivi hanno vissuto in una bolla, lontani dalla politica e dalle istanze sociali, dovevano giocare a tennis basta così. “Si ritorna alla vecchia logica dei quattro tornei e dei quattro giocatori, quando vivi in questo mondo qui, perdi tutto il resto, ciò che accade al di fuori di te. Sono convinta che i tempi stiano cambiando. Le nuove generazioni, Osaka in testa ma non solo, per la prima volta fanno sentire la propria voce per questioni che non riguardano il campo. Ci credono davvero, non pensano a un ritorno economico, agli sponsor, al marketing, o ai soldi. Forse è questa la risposta alla prima domanda: il futuro del tennis ha bisogno di meno Djokovic e di più Osaka”.

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