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Dan Friedkin, il texano atipico che ha liberato la Roma

Luca Michele Piscitelli

Finisce l’epoca di James Pallotta, che più che un presidente per i tifosi era diventato un occupante. Ora i giallorossi si aspettano la rimonta

Magari un giorno si vedrà volare sullo Stadio Olimpico una squadra di aerei acrobatici della Air Force Heritage Flight Foundation prima di una partita della Roma. C’è anche questa possibilità ora che Dan Friedkin è diventato presidente della squadra capitolina acquistando la società dall’ormai ex giallorosso James Pallotta.

 

Un texano atipico Dan Friedkin. Nato a San Diego nel 1965 e cresciuto a Huston, dove mantiene il centro di direzione dei suoi affari, il nuovo proprietario della Roma sfugge allo stereotipo classico che vuole i texani un po’ spacconi e caciaroni, come direbbero a Roma. Ha condotto in silenzio la trattativa che lo ha portato ad acquistare la società giallorossa per 591 milioni di euro, mantenendo un basso profilo per nulla scontato in un ambiente, quello romano, spesso caratterizzato da proclami e pensieri urlati. Mai una parola fuori posto, anzi, mai una parola, dato che da lui o dal suo gruppo le comunicazioni sono uscite con il contagocce in questi mesi di trattative, un aplomb completamente opposto alla sua controparte e quasi sconosciuto lungo le sponde del Tevere.

 

L’impero del Gruppo Friedkin spazia dalle auto – per la sua rete di 150 concessionari nel sud degli Stati Uniti è soprannominato il Re della Toyota – ai resort di lusso in giro per il mondo, dalle produzioni cinematografiche all’impegno per l’ambiente fino alla passione per il volo, che lo ha portato a possedere la più grande collezione americana di vecchi aerei da guerra e una fondazione che organizza spettacoli di volo in tutto il mondo, la Air Force Heritage Flight Foundation. Con un patrimonio personale che si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari, Dan Friedkin si presenta a Roma nelle vesti del salvatore dopo i 9 anni che hanno visto più ombre che luci nella prima gestione a stelle e strisce della società che fu di Dino Viola e della famiglia Sensi.

 

James Pallotta negli ultimi due anni è risultato essere più un occupante che un presidente per la stragrande maggioranza dei tifosi giallorossi anche per la sua scarsa presenza in città. Non basterà però il clima di liberazione che accoglie Friedkin a mettere a posto la gestione di una società che negli ultimi anni si è dimostrata tra le più complesse nel panorama calcistico italiano. A partire dai conti.

 

A giugno il bilancio dei primi 9 mesi della stagione 2019/2020 registrava una perdita di 126,4 milioni di euro. Colpa anche del coronavirus, certo, ma frutto di una gestione sportiva che dopo l’esaltazione per la semifinale di Champions League nel 2018 non ha saputo tenere alto il livello della squadra. Parte dei 591 milioni serviranno proprio a coprire i debiti contratti dal club.

 

Poi c’è il nodo stadio, la battaglia delle battaglie portata avanti dalla precedente proprietà e che prosegue il suo iter presso le aule del Campidoglio. "Noi continuiamo ad andare avanti", ha risposto la sindaca Virginia Raggi oggi, commentando il futuro dello stadio alla luce del cambio di proprietà. Qui le dinamiche politiche della città potrebbero aiutare il texano: il via libera alla costruzione del nuovo stadio di Tor di Valle potrebbe diventare un cavallo di battaglia per la sindaca in vista delle prossime comunali previste per il 2021.

 

Ma la parte più complessa e delicata resta quella sportiva, quella a cui davvero guardano i tifosi che oggi esultano per l’arrivo del texano. Friedkin è chiamato a ridare entusiasmo a un ambiente che si è spento dopo le tante promesse infrante della precedente proprietà: trattenere i talenti – Zaniolo e Pellegrini in primis – e dare prospettiva alla squadra saranno i primi obiettivi con cui dovrà confrontarsi. In punta di piedi magari, a sottolineare il profondo divario con chi lo ha preceduto. E magari a far rumore questa volta ci saranno solo gli aerei acrobatici del nuovo presidente.

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