Essere McEnroe, avere il dono del tennis e non saperlo gestire

Domenica sera su Sky Federico Buffa presenta “L’impero della perfezione”, docufilm sull’ex numero 1 al mondo diventato grande senza tenere a bada mai la propria furia sul campo 

Giorgia Mecca

Durante una partita di tennis il pubblico si aspetta spettacolo, agonismo, due giocatori che si massacrano per provare a superare i propri limiti, rabbia buona, quella che ti tiene in piedi, quella che ti fa vincere una partita nonostante i crampi. C’è un unico comandamento, lo conoscono tutti, sia dentro che fuori dal campo: “Tieni le tue emozioni sotto controllo, la furia è controproducente”. John McEnroe lo sapeva e non poteva farci niente, lui dalle emozioni su lasciava travolgere, soffocare. Urla, lanci di racchetta, imprecazioni contro chiunque: “Ti spacco questa racchetta tra le labbra, giuro che lo faccio”. Per il giocatore statunitense ogni punto perso rappresentava una tragedia in miniatura, un pretesto per esplodere, per scagliarsi contro chiunque gli capitasse davanti al campo visivo.  

 

Qualsiasi tennista in preda a una tempesta emotiva che si impossessa del suo braccio, reagisce rimanendo paralizzato, incapace di intendere e di volere, schiacciato tra l’impotenza e la frustrazione. McEnroe no, McEnroe si è sempre realizzato attraverso la violenza, la tortura interiore, l’immagine stessa del diavolo in corpo. Il pubblico ride e non capisce, lui soffre, si arrabbia, spacca sedie e racchette ma non va nel panico, rimane in campo, spesso gli capita di vincere. 

  

Domenica 12 luglio, alle 21,15, andrà in onda in simultanea su Sky Arte, Sky Sport Arena e in streaming su Now Tv “John McEnroe- L’impero della perfezione”, un documentario di Julien Faraut ambientato durante la storica finale del Roland Garros del 1984. Tre ore e 56 minuti di partita, cinque set, terra rossa ovunque, in faccia e nelle magliette, la vittoria in tasca di SuperMac, la rimonta, una volèe di dritto fuori di metri, la definitiva stretta di mano che consegna il trofeo a Lendl.  

 

Ma a parte la vittoria e la sconfitta, le telecamere del film si spostano dal luogo dell’azione e dal movimento della pallina, sono tutte puntate sull’allora numero uno del mondo, a cinque centimetri dal suo naso e dai suoi tormenti, una inquadratura che “ci porta a scoprire qual è il prezzo da pagare per conquistare un punto”. Faraut, che ha realizzato il film dopo aver ritrovato negli archivi dell’Institute National du Sport, de l’Expertise e de la Performance vecchi filmati di Gil de Kermadec, si concentra sulle ossessioni, nel baratro in cui il tennista era ogni volta capace di cadere. “Il cinema mente, lo sport no”, sostiene una frase di Jean Luc Godard all’inizio del documentario, che sarà presentato da Federico Buffa e dalle sue riflessioni a tutto campo, tra Zinedine Zidane e Martina Navratilova.

 

Proprio come il cinema, il tennis regala ai giocatori la possibilità di inventarsi il tempo, di riempire lo spazio cronologica di una partita a proprio piacimento. Come spiega il regista francese, McEnroe riusciva a farlo benissimo, imponendo al tempo di fermarsi, come certe sue smorzate improvvise e inaspettate che fermavano la pallina, l’azione, il gioco. “L’impero della perfezione” racconta cosa significava essere McEnroe, avere venticinque anni, il dono del tennis e non riuscire a gestirlo.

    

Ci sono filmati che descrivono il disagio che provava il giocatore ogni volta che doveva , scattare fotografie vicino ai suoi fan, posare per le telecamere di fianco alla propria gigantografia. C’è anche una rarissima ripresa di una seduta di allenamento dello statunitense prima di una partita. McEnroe non si allenava mai, non aveva bisogno di provare i colpi: “La ripetizione è appannaggio dei bisognosi, non dei talentuosi”. “L’impero della perfezione” comincia e finisce con le braccia del tennista che ciondolano nell’atto di prepararsi a servire, un gesto sempre uguale a cui seguono rincorse, scatti in avanti, sguardo a terra, asciugamani in testa, una pallina scagliata contro la rete per la rabbia, rimpianti su rimpianti, una racchetta tirata contro una telecamera, le mani in testa per la disperazione, quattro ore a sputare sangue per niente, per uscire dal campo ko. Il tennis è un incubo.

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