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Quando l'Italia divenne Nazionale

Fulvio Paglialunga

Centodieci anni fa gli azzurri, ma vestiti di bianco, giocarono la loro prima partita della storia contro la Francia. Finì 6-2 

[Anticipiamo un articolo del numero del Foglio Sportivo in edicola domani e domenica. L'edizione di sabato 16 e domenica 17 maggio la potete scaricare qui dalle 23,30 di venerdì 15 maggio]

 


 

Gli azzurri non erano nemmeno azzurri. Erano bianchi, perché così la divisa sarebbe costata sette centesimi di lire in meno; ognuno aveva i pantaloncini della propria squadra, bianchi per metà dei giocatori, neri per l'altra metà.

 

C'erano gli italiani, si stava facendo l'Italia. Luigi Bosisio, baffuto ragioniere e pioniere del pallone - che aveva già battagliato perché il football cominciasse a chiamarsi calcio e guidava la Figc appena diventata tale (prima era Fif, Federazione italiana del Football, appunto) - aveva annunciato la nascita della nazionale italiana a gennaio e quella, il 15 maggio del 1910, all'Arena Civica di Milano contro la Francia, era la nostra prima partita della storia.

  

Il capitano aveva i baffi all'insù, si chiamava Francesco ma per tutti era Franz e nell'alterazione del nome c'è un pezzo della sua storia. Calì, siciliano della provincia di Catania, aveva un passato da emigrante in Svizzera con la famiglia, dopo che i pirati avevano messo in ginocchio l'attività del padre, commerciante di vini. Lì aveva cominciato a giocare, lì avevano cominciato a chiamarlo così. E quando in un periodo più favorevole tutta la famiglia tornò in Italia, ma a Genova, lui iniziò a giocare nel Genoa, poi fu, con il fratello Salvatore, tra i fondatori dell'Andrea Doria e continuarono a chiamarlo Franz. Gli fu data la fascia perché aveva ventotto anni, era uno dei più esperti, e perché il girovagare e l'essere cresciuto in un contesto di commercianti lo rendevano un conoscitore delle lingue straniere, e per la prima partita internazionale uno così sarebbe servito.

  

A fare la formazione furono gli arbitri: una commissione di cinque di loro - tutti milanesi, guidati da Umberto Meazza (il cognome è solo un caso: non era nemmeno parente alla lontana del grande Peppìn) – per quattro mesi lavorò alla selezione, creò due squadre per metterle contro e vederle all'opera. Una specie di titolari contro riserve, che però si chiamarono “Possibili” contro “Probabili”. Gli azzurri che erano bianchi nacquero da quello che si vide in queste partite, ma non erano nemmeno tutti i migliori. Perché i migliori, in realtà, erano quasi tutti quelli della Pro Vercelli: avevano già vinto due scudetti e potevano vincere ancora, ma la strada per il terzo successo di fila fu sbarrata da una clamorosa protesta. I piemontesi, nel 1910, erano arrivati in testa a pari punti con l'Inter; dovevano giocare lo spareggio e non c'era una data. La Figc fissò la gara decisiva il 24 aprile, ma in quei giorni c'erano i tornei militari e i più forti della Pro erano tutti impegnati a rispondere alla “chiamata”, non potevano esserci. Non riuscendo a ottenere il rinvio, Luigi Bozino, patron dei vercellesi, decise di schierare per protesta una formazione di ragazzini dagli 11 ai 14 anni. Risultato: l'Inter vinse 10-3 e tutti i giocatori della Pro Vercelli vennero squalificati fino a fine anno, restando senza Nazionale.

   

Oltre Calì (il cui posto da titolare si racconta fu deciso con una votazione – tre favorevoli e due contrari – dei cinque membri della commissione), gli altri non milanesi in formazione furono Capello e Debernardi del Torino. Poi De Simoni, Varisco e Boiocchi della U.S. Milanese, Cevenini I e Lana del Milan, Attilio Trerè e Rizzi dell'Ausonia e l'interista Virgilio Fossati, morto da capitano dell'Esercito al fronte, durante la Grande Guerra e decorato postumo con la medaglia d'argento al valor militare. Non c'erano juventini, a parte l'arbitro (erano anni in cui ogni società forniva anche i direttori di gara), che era Harry Goodley ed era così preoccupato di essere imparziale da rifiutare il panino e la birra che l'Italia gli offrì prima della partita. Goodley era della Juve, ci arrivò, mostrò da britannico la sua conoscenza del regolamento e diventò l'arbitro designato. Era diventato socio del club dopo aver provato a giocare perché, figlio di una famiglia impegnata nel tessile, era stato chiamato come dipendente da Alfred Dick, imprenditore svizzero all'epoca presidente dei torinesi. Goodley, in realtà, nella storia della Juve ebbe un ruolo fondamentale perché, amico dell'ex giocatore juventino Tom Savage, si racconta fu incaricato di portare da Nottingham le nuove divise che avrebbero dovuto sostituire le logore casacche rosa con cravattino nero che la Juventus aveva utilizzato fino ad allora. Fu il carico di maglie del Notts County, bianconere, che poi divennero per sempre i colori juventini.

 

Anche la Francia, l'avversario scelto dall'Italia per la sua prima partita della storia, aveva i suoi dissidenti, rappresentanti di squadre che non andavano in nazionale perché la Federazione era divisa in due, tra chi voleva il professionismo e chi il dilettantismo. La somma dell'entusiasmo degli italiani per la loro prima volta, dei quattromila tifosi assiepati, di un avversario mutilato, e per di più provato da un viaggio notturno in treno di dieci ore, portò al 6-2 per l'Italia, e sembrò persino troppo semplice.

 

Il primo gol fu di Pietro Lana, attaccante milanista detto Fantaccino per via del fisico minuto, ma abbonato ai gol storici. È anche il primo marcatore di un derby tra Milan e Inter ed è legato a entrambe le squadre. Cioè: giocò a lungo nel Milan, ma fu anche tra i quarantaquattro dissidenti rossoneri che abbandonarono il club e fondarono l'Inter. Ma se ne pentì subito e tornò sui suoi passi. Lana segnò una tripletta, gli altri azzurri in gol furono Fossati, Rizzi e Debernardi. Il calcio aveva ancora poco spazio sui giornali, che segnavano i minuti dei gol con l'ora solare e non con il tempo di gioco, e usavano termini anglofoni perché non esistevano ancora gli equivalenti italiani di questo sport portato dagli inglesi. Ma la Nazionale che nasceva 110 anni fa, iniziando la sua storia e sommandola alle mille storie dei suoi giocatori, rese tutto subito appassionante a cominciare da quella vittoria. Salutata dall'ovazione del pubblico dell'Arena, alla fine. I tifosi festeggiarono lanciando in campo, verso i giocatori, pacchetti di sigarette. Una specie di premio partita.

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