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Senza Wimbledon sarà un luglio più vuoto

Giorgia Mecca

Il presidente Ian Hewitt ha annunciato che il torneo non si giocherà per l’ottava volta nella sua storia

È il maggio 1940, i nazisti sono ovunque in Europa, la Francia ha smesso di esistere: “Abbiamo perso la battaglia”, scrivono da Parigi al primo ministro britannico Winston Churchill, i tedeschi stanno arrivando anche da voi. Mentre l’Europa cade a pezzi, alla fine del mese l’All England Lawn Club dirama una nota: “Siamo spiacenti, dobbiamo posticipare Wimbledon, ma soltanto di qualche giorno. Non si giocherà più il 21 giugno, ma il 19 luglio”. Il mondo intero è in ginocchio, ma per gli inglesi è inammissibile pensare di rinunciare alla sessantesima edizione del torneo, si tappano gli occhi pur di non guardare la tragedia che hanno davanti. Pochi giorni più tardi la realtà bussa alla porta e anche il tempio dei gesti bianchi e dell’immobilismo sarà costretto a dichiarare la resa: niente tennis siamo in guerra. Da quel momento il campo centrale diventerà sterpaglia, deposito di macerie, i tedeschi proveranno a raderlo al suolo gettandoci sopra le bombe ma non ci riusciranno.

 

Mercoledì pomeriggio, dopo settimane di discussioni, annunci rimandati, occhi tappati ed evidenze impronunciabili, il presidente del torneo Ian Hewitt ha dovuto ammettere che Wimbledon quest’anno non si giocherà per l’ottava volta nella sua storia: “È una decisione che non abbiamo preso a cuor leggero, ma con il più grande rispetto per la salute pubblica”. Salta così tutta la stagione sull’erba, il luglio vestito di bianco, l’inchino ai reali, l’immancabile pioggia, le fragole, il tennis come cattedrale, silence please. Subito dopo l’annuncio, da New York la federazione statunitense ha dichiarato che gli Us Open continuano a essere in programma dal 31 agosto al 13 settembre, nel frattempo però a Flushing Meadows sta per essere allestito un ospedale da campo per i malati di coronavirus. Roger Federer, che aveva programmato la sua riabilitazione per essere presente a Londra, ha scritto su Twitter di essere devastato dalla notizia dell’annullamento di Wimbledon. Gli rimarrà il rimorso di quei due match point sprecati per un altro anno, mentre il tabellone del Centrale, come vuole la tradizione, continuerà a indicare il punteggio dell’ultima partita della scorsa stagione: Djokovic batte Federer 7-6 1-6 7-6 4-6 13-12 in quattro ore e 57 minuti. Un messaggio lanciato nel vuoto, rivolto a nessuno. Oggi il campo è rimasto senza rete e così rimarrà, con i sedili coperti dal nylon per proteggerli, l’erba tagliata inutilmente e inutilmente perfetta, come sempre il primo giorno. “Una croce sopra”, ha titolato l’Equipe, “Torneranno giorni migliori”, ha ribadito l’account di Wimbledon costretto a chiudere le porte all’estate, ai pomeriggi di tutti, tennis negli occhi finché non cala la sera, al sabato e alla domenica della finale, alla nostalgia del giorno dopo, a quel total white fuori dal mondo, inappropriato ovunque tranne che lì, così reazionario e così perfetto su sfondo verde. Non ci sarà nessuna celebrazione per i quarant’anni della finale tra Björn Borg e John McEnroe, quel tie break che ci ha fatti innamorare del tennis. Sarà un luglio vuoto.

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