Foto tratta dal profilo Facebook di Lamberto Boranga

il foglio sportivo

Così Boranga prova a parare il virus

Giorgio Burreddu

Fu portiere in Serie A, oggi è medico: “Giusto annullare il campionato”. Ha 77 anni, fino a dieci giorni fa era in corsia

La panca per gli addominali l’ha sistemata in salotto, sul tappeto, tra il vaso di felce e la vecchia tv. E quando ha voglia di correre sale in mansarda, esce sul terrazzo, si allaccia con un elastico alla finestra della veranda e simula uno scatto prodigioso. “Ho settantasette anni, ma il corpo di uno di quaranta, la testa pure”. Lamberto Boranga non molla. Ai tempi del virus si è organizzato come può. Come fanno tutti. “Sveglia presto, colazione più un pasto al giorno, leggo, scrivo, poca televisione, chiamo i miei figli, mi alleno. Seguo le regole e sto in casa. A Perugia non c’è in giro nessuno. Ma questo virus mi ha rovinato la carriera. Dovevo andare a Braga per gli europei di atletica indoor. Quelli Master: cioè per i rincoglioniti come me. E poi avevo un contatto con una squadra dilettanti per fare il secondo portiere, il mio amico che mi fa anche da procuratore aveva sistemato tutto. Sarà per l’anno prossimo”. Fu portiere della Fiorentina alla fine degli anni Sessanta, secondo di Albertosi; poi Reggiana, Parma, Cesena, “che è la città più bella per giocare a calcio”. Soprattutto fu uno che diede scandalo. La prima volta perché decise di prendersi una laurea: “Gianni Mura non ci credeva, mi chiamò e mi disse: ‘Boranga. In Medicina, veramente?’. Vieni da me, ti faccio vedere, risposi. Gli regalai la mia tesi e venne alla discussione. Se n’è andato anche lui, mi sono sentito triste, è stato un grande”.

  

Alla fine Boranga di lauree ne ha prese due. L’altra in Biologia: specialistica in virologia e batteriologia. E dunque: il coronavirus? “Un mese fa lo dissi: ‘Occhio, bisogna fare i tamponi, è una cosa seria’. Questo virus è diventato aggressivo, rischiano anche i giovani, ha una resistenza notevole, la capsula del virus è incredibile, si duplica facilmente. Non c’è un motivo se te lo prendi, forse è peggio dell’Aids”. Fino a dieci giorni fa Boranga stava in ospedale, si metteva la mascherina, “anche venti, venticinque visite al giorno”, e poi è arrivato un caso positivo, “hanno chiuso tutto per sanificare e ho deciso di restare a casa: basta”. Rumina, manda giù il nervoso, la bile, l’ansia. Che c’hai, Bongo? “È che la sanità ha messo un sacco di direttori generali, gente che costa una valanga di soldi, hanno strozzato tutta la sanità, tutta, ospedali ridimensionati, la tecnologia che non è andata avanti come avrebbe dovuto. Ci sono città che sono in crisi nera. No, dài, lasciamo stare”. Dài, Bongo, che c’è? “Non è più il modo di farla la sanità così, devi dare ai cittadini la salute, la saluteeee (urla, ndr). Se stai bene lavori, fai il medico, l’avvocato, l’operaio. Alla gente non gliene frega nulla di lavorare se non ha la salute. Scusa lo sfogo, ma cazzo”.

 

Lo chiamano Bongo perché sosteneva di poter parare e fare un buffetto al naso dell’avversario. Nello stesso momento. “Un po’ matto sono sempre stato. Ogni tanto sento ancora Zoff, quelli alla Juve erano troppo inquadrati. Un po’ di libertà, su. Mi hanno fatto gol Charles, Best, Maradona giocando a beach soccer. Il calcio si è evoluto, ma lo spirito è sempre lo stesso”. E dopo, dopo questo virus, come sarà il calcio Bongo? “Il calcio non ha capito niente. Tommasi sì, lui ha capito. Comunque il campionato è finito, stop, altrimenti è tutto falsato. Bisogna ricominciare l’anno prossimo. E fare attenzione”. A Boranga ricominciare non ha mai fatto paura. A cinquant’anni tornò a giocare per una squadra di dilettanti. Si è ritirato a settantacinque anni e sette mesi: un record. Allora si è messo a fare l’atletica. “Paura non ne ho, nemmeno di questo virus. La paura noi portieri non ce l’abbiamo. È un ruolo in cui servono coraggio, riflessione e attenzione. Mi sono rotto cinque costole, ho venti punti sul corpo. Ma non ho paura di stare alle regole. Però sì: questa situazione ha messo in luce tutta la fragilità degli anziani. Vale anche per me”.

 

Infatti quando parla di sua figlia Barbara, che fa la radiologa, l’emozione di Bongo è più forte del resto. “Sto in seconda linea, aiuto mia figlia con un supporto psicologico e morale, anche scientifico. Lei ne sta vedendo di tutti i colori. Ai miei figli ci penso, certo. Eugenio fa il commercialista, era a vedere Atalanta-Valencia ma il virus non se l’è beccato. E poi c’è Linda, la stilista: la crisi la toccherà”. A Boranga il virus ha portato via degli amici, “l’ultimo mi aveva chiamato il giorno prima, sessantacinque anni, il giorno dopo è morto”, e gli ha riacceso vecchi ricordi: “Sono originario di Belluno, Veneto. Il mio babbo ha fatto la guerra, mio nonno pure. Si chiamavano Eugenio tutti e due. Papà pilota dell’aeronautica, è morto in un incidente, il coraggio l’ho preso da lui. Nonno postino, poi direttore delle poste, aveva una stanza piena di provviste, polenta, farina, fagioli, scatolette, non faceva entrare nessuno: dovevano essere la riserve per un’altra guerra”. Che oggi è arrivata, diversa, più lugubre e subdola. “Saremo persone che avranno avuto una guerra, ci avrà rovinato la salute. Ma quando sarà finita ci vorremo tutti più bene, saremo più buoni”.

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