Tutte le battaglie di Rocco Commisso

Piero Vietti

“La Serie A non è falsata, ma il Var così non va. Fatemi fare lo stadio a Firenze”. Un tè con il presidente della Fiorentina

C’è anche Rocco Commisso dietro alla richiesta della Figc alla Fifa di potere sperimentare in Italia l’utilizzo del Var su chiamata delle squadre durante le partite. Il presidente della Fiorentina l’aveva proposto già a ottobre: “Forse è arrivato il momento in cui gli allenatori abbiano la possibilità di chiedere l’intervento del Var come avviene negli sport americani”, aveva detto. Dopo di lui hanno cominciato a chiederlo in tanti. Il Foglio Sportivo incontra Commisso a Firenze proprio nelle ore in cui la Federazione sta preparando la nota sul Var. Davanti a un tè con lui parliamo di arbitri, Serie A, investimenti stranieri nel nostro paese e delle difficoltà che sta incontrando per dare alla Fiorentina un nuovo stadio. Si dice deluso dai ritardi burocratici, ma pronto a “dare battaglia” su tutto, anche sul governo del calcio italiano. Nella nostra lunga chiacchierata lascia intendere di essersi stufato di fare la parte dell’italoamericano simpatico e “stupido”, si irrita se viene trattato come il parvenu che non deve permettersi di dare lezioni (“mi sembra anzi che qualcuno voglia dare lezioni a me di come si parla qui in Italia, e a me questo non va bene”). Usa l’inglese per buona parte del colloquio, e si capisce che se potesse farlo anche nelle interviste in tv dopo le partite calibrerebbe meglio le parole, come ammette lui stesso tra un you know? e un capisc’? con cui infarcisce quasi tutte le sue frasi.
Dopo mesi in cui la sua squadra aveva subìto alcune decisioni arbitrali errate, Commisso ha deciso di parlare proprio dopo la partita contro la Juventus. Scelta strategica o no, ha subito scatenato reazioni contrastanti tra chi pensava che dall’America avrebbe portato più fair play in un calcio soffocato da polemiche e sospetti e chi aspettava invece che qualcuno alzasse finalmente la voce. “Io non ho mai detto che il campionato è falsato – precisa – ma che una squadra come la Juventus, con il monte ingaggi che ha, non aveva bisogno di un errore dell’arbitro per vincere. Volevo sollevare un tema più generale, che vale per tutte le squadre: c’è un problema su come viene utilizzata la tecnologia che può aiutare gli arbitri a decidere meglio”. Da qui l’idea avanzata pubblicamente di permettere alle squadre di chiedere la Var review un certo numero di volte durante le partite. “Penso anche che in certi casi l’arbitro non debba prendere lui la decisione finale: se è stato chiamato dal Var deve essere il Var a decidere”. Usa una metafora processuale per fare capire la sua idea: l’arbitro in campo è il primo grado, il Var l’appello, e nell’appello il giudice di primo grado non può interferire. I tifosi che lo vedono come simbolo della lotta al perfido potere juventino nel calcio italiano devono frenare l’entusiasmo: “Io ho rispetto per la Juventus, anzi una volta ero pure tifoso bianconero – sorride – ma, come ho già detto, una squadra che vince sempre il campionato non fa bene al calcio italiano, che così perde valore sul mercato internazionale”. Vero, ma se la Juve è più forte non è che può smettere di vincere perché se no pare brutto. E qui si apre il discorso enorme sui fatturati delle società di calcio.

 

Commisso ci mostra la classifica Deloitte 2020 sulle entrate dei primi venti club europei, riferite alla stagione 2018-’19. Comanda il Barcellona con 840 milioni di euro di ricavi, chiude il Napoli con 207 e rotti. “Il Milan, che dieci anni fa era tra le squadre top nemmeno c’è – fa notare Commisso – mentre la Juventus, una volta lontana dai rossoneri, è decima con oltre 450 milioni di euro di entrate”. Il dato interessante sono i ricavi medi di queste venti squadre, quasi la metà delle quali è inglese: oltre 464 milioni di euro. “Lo sapete quante sono state le entrate della Fiorentina la scorsa stagione? 94 milioni. Io voglio riportare la mia squadra a competere in Europa, ma come si fa con queste cifre?”. La domanda è retorica tanto quanto è scontata la risposta: non si può, a meno di aumentare il fatturato. Lo stadio nuovo e di proprietà è l’imprescindibile punto di partenza per fare crescere la squadra viola. Come James Pallotta a Roma, Rocco Commisso è arrivato in Italia con l’ingenuità intelligente degli americani che sanno fare business, convinto che a un investitore pronto a mettere sul piatto molti soldi per fare crescere una società di calcio – e di conseguenza gli affari della città – la politica avrebbe offerto tutti gli aiuti necessari. Così non è stato. Anzi.

    

Ci mostra un articolo del New York Times che spiega come lo stato di New York aiuti chi vuole costruire stadi e palazzetti con soldi pubblici, esenzione dalle tasse e concessioni gratuite di terreni. Impensabile in Italia. “Ho incontrato più politici nei primi due mesi a Firenze che in tutta la mia vita”, dice. Negli Stati Uniti la sua Mediacom, quinta azienda fornitrice di Tv via cavo del paese, attraversa 22 stati con 1 milione di chilometri di fibra. “Avrei a che fare con 1.500 sindaci – racconta – ma non sono mai dovuto andare a parlare con ognuno di loro per chiedere il permesso di mettere giù la fibra”. Lo stesso vale per gli impianti sportivi, prosegue il presidente della Fiorentina. Quando la Columbia University, grazie principalmente alle donazioni di Commisso, ha rifatto il proprio stadio intitolandolo a lui, “non siamo dovuti andare a chiedere l’approvazione del sindaco, del comune, dello stato o del governo. In Italia è l’opposto, sembra che la politica voglia mettere i bastoni tra le ruote agli investitori, specie se ‘stupidi’ che arrivano dall’America come me, invece di aiutarli”. Ci tiene a sottolineare una cosa, che ripete più volte durante il colloquio con il Foglio Sportivo: “Io sono venuto qua per investire, non per prendere”.

   

È molto americano, in questo, sebbene si dica orgogliosamente italiano: “Il calcio per me è stato fondamentale, senza borsa di studio per lo sport non avrei mai studiato alla Columbia e oggi non sarei dove sono. È questione di reciprocità: loro hanno aiutato me quando non avevo soldi, giovane italoamericano immigrato, è mia responsabilità aiutare loro una volta che mi sono arricchito. Non sono venuto in Italia per fare soldi, ma per ridare qualcosa che resterà per sempre al paese in cui sono nato, e in particolare a Firenze”.

   

Calcolando a spanne, Commisso ha già investito nella Fiorentina qualcosa come 300 milioni di euro in sei mesi, tra acquisto del club, sponsorizzazioni e un centro sportivo all’avanguardia in cui dal 2021 si alleneranno giovanili, prima squadra e squadra femminile. Fantascienza, per una società che oggi ancora gioca in uno stadio senza copertura e con i calcinacci che cadono dai muri in alcuni punti della struttura, e che per mettere un orologio accanto al campo dove gioca la Primavera deve chiedere il permesso dal Comune. Quando si è trattato di parlare di stadio, però, la situazione è si è improvvisamente complicata. Commisso ha fatto preparare uno studio su come vorrebbe rifare l’Artemio Franchi, lo stadio di epoca fascista in cui giocano i Viola, ma la Soprintendenza ha detto di no: il progetto dell’architetto Casamonti prevedeva l’abbattimento delle due curve, lontane dal campo di gioco, e la loro ricostruzione più vicino al prato. Il Franchi però è considerato un monumento storico, pertanto non può essere abbattuto e ricostruito, al massimo riqualificato. Il comune di Firenze ha allora messo in vendita con una gara pubblica un’altra area, la Mercafir, dove la Fiorentina potrebbe costruire il nuovo impianto. L’idea inizialmente non dispiace a Commisso, che però esprime da subito “molte preoccupazioni”: innanzitutto il prezzo per il terreno, 22 milioni, considerato troppo alto, e poi i tempi di vendita e le condizioni in cui verrebbe lasciata l’area. “Nella mia vita ho sempre utilizzato tre criteri per fare affari”, spiega Commisso. “Primo: Fast, fast, fast, ma con la dovuta prudenza. Secondo: costi ragionevoli. Terzo: io poi devo avere il controllo. Non vedo soddisfatte queste tre condizioni in questo affare”. Commisso è deluso, e come ha detto anche ad altri giornalisti in questi giorni ha paura che i tifosi viola prima o poi si stufino di lui: “Ma forse prima mi stufo io”. Non si è dato una deadline oltre la quale se ne andrà: “A Firenze sto bene, la gente mi vuole bene e io voglio bene alla gente, ho voglia di dare battaglia”. Per i tifosi: “Sono loro in cima alla piramide: i giocatori vanno e vengono, i presidenti vanno e vengono, loro restano per sempre”. Non c’è tutto il tempo del mondo, però: “La politica si deve muovere, per esempio cambiando la legge sugli stadi perché così non si può andare avanti. Nel resto del mondo sono stati realizzati nuovi impianti all’avanguardia e in tempi molto rapidi, qui in Italia è impossibile”.

 

Quella dello straniero che vorrebbe investire nel nostro paese ma poi si scontra con i lacci della burocrazia e delle leggi è una storia che accomuna molti imprenditori. “Io sono italiano, voglio aiutare il soccer italiano”. Riprende in mano la classifica Deloitte delle società più ricche: “Guardate quante di queste hanno proprietà straniere: il Manchester United, il Psg, il Manchester City, il Liverpool, l’Inter… In molti paesi sono gli stranieri che hanno fatto crescere il calcio. In Italia invece è quasi impossibile costruire un impianto di proprietà per fare aumentare i ricavi di una società di calcio e offrire ai tifosi un servizio migliori. Sono sei mesi che ho a che fare con la politica per la questione stadio, ma non se ne esce: a questo punto la politica faccia qualcosa per cambiare questa situazione”. In America il pubblico aiuta il privato che fa opere di cui può beneficiare tutta la comunità, qui “forse vogliono solo che il ricco americano stupido metta i soldi, tanto ne ha, e basta”, scherza Commisso.

   

Detto dei problemi della politica italiana, chiediamo a Commisso un parere sul governo del calcio italiano: “Non ho mai partecipato alle riunioni di Lega (ci va il direttore generale Joe Barone, ndr), ma ho visto e sentito personalmente diversi presidenti di altre squadre. A tutti dico che dobbiamo metterci insieme per migliorare il calcio, renderlo appetibile a livello internazionale, fare capire alla politica che uno degli asset vincenti del nostro paese, come la moda, il cibo”. L’equazione di Commisso è facile, almeno a parole: innanzitutto un campionato più combattuto e senza troppi errori arbitrali piace di più all’estero, da qui la richiesta di un migliore utilizzo della tecnologia in campo; poi servono squadre competitive a livello europeo, quindi con maggiori ricavi: analizzando i bilanci delle società più forti è lampante come lo stadio di proprietà faccia la differenza in questo senso; infine bisogna vendere meglio il calcio italiano all’estero. “Perché la Lega Serie A non ha un ufficio a New York, ad esempio? Io l’ho proposto, penso sarebbe utile per tutte le società, non solo per Rocco Commisso”. C’è molto da fare per sprovincializzare il calcio italiano, e serve un lavoro lungo oltre alle dichiarazioni roboanti. C’è parecchio da fare anche per la Fiorentina, però. “Non mi aspettavo di essere così vicino alla zona retrocessione. Ho detto ai giocatori che dobbiamo uscire dalle parti basse della classifica il prima possibile. Posso capire che si perda contro l’Inter e la Juventus, ma non possiamo perdere contro club che hanno una rosa dal valore inferiore al nostro. Non puntavo alla zona Champions League naturalmente, ma speravo meglio. Non mi piace licenziare le persone che lavorano per me, ma con Montella le cose non andavano più. Iachini ha fatto molto bene da subito, anche se abbiamo perso le ultime tre partite. Io ho fiducia che finiremo bene questa stagione, così possiamo essere pronti a puntare più in altro dalla prossima”.

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.