(foto LaPresse)

La catarsi di Pippo Inzaghi e del suo Benevento

Leo Lombardi

Con 46 punti alla fine di un girone di andata da record, i giallorossi hanno più di un piede in serie A. Merito anche di un allenatore che ha saputo ritrovarsi plasmando una squadra "allegriana"

A luglio il presidente gli aveva chiesto di renderlo orgoglioso della squadra: operazione riuscita. A inizio 2020 il Benevento ha qualcosa in più di un piede in serie A e Oreste Vigorito è da considerare un uomo felice. Felice della squadra e felice di Pippo Inzaghi. Lo avrebbe voluto in panchina nel 2018, ma il richiamo del Bologna era stato più forte. Lo aveva convinto la scorsa estate ed è stato ripagato, scoprendo una persona inaspettata (“Ho imparato che bisogna conoscere la gente prima di giudicarla”) e dando ragione alle certezze di Pasquale Foggia, il giovane direttore sportivo che più di tutti si era esposto per portare il tecnico in Campania. Lo ha fatto in virtù di una vecchia amicizia, quella cementata dalla maglia dell'Italia campione del mondo 2006 ricevuta, con una dedica speciale, quando giocava nella Lazio. Lo ha fatto in virtù della conoscenza innanzitutto delle qualità caratteriali di Inzaghi, uno che soffre terribilmente ad arrivare secondo. E della personale sicurezza che fosse l'uomo giusto in un torneo complicato come la serie B. Inzaghi lo aveva già dimostrato, guidando il neopromosso Venezia ai playoff nel 2018.

 

I playoff, per l'appunto. Quelli dello scorso campionato erano stati dolorosissimi per il Benevento, buttato fuori dopo aver perso 3-0 in casa con il Cittadella, battuto 2-1 all'andata. E proprio dal Cittadella è partito il ciclo di Inzaghi, dopo una estate di alti e bassi. Gli alti erano stati rappresentati dalla vittoria in amichevole con il Napoli dell'antico maestro Carlo Ancelotti. I bassi erano stati segnati dall'uscita al primo turno in Coppa Italia, con un rocambolesco 4-3 interno subito dal Monza di Berlusconi&Galliani, la coppia che aveva adorato Inzaghi calciatore e che lo aveva lanciato allenatore, nel tentativo di trovare finalmente l'ex milanista cui affidare il Milan. Accade nel 2014, quando il tecnico viene catapultato dalla Primavera alla prima squadra per sostituire il deludente Clarence Seedorf, che aveva preso il posto del mai amato Massimiliano Allegri. Esperienza fallimentare: si chiude con un decimo posto centrato con un organico peggiore del Milan attuale e con il licenziamento anticipato a giugno.

 

A Benevento fanno in fretta a fugare i primi dubbi nati in seguito alla sconfitta con una squadra di serie C. Si deve passare dal pareggio al debutto di campionato in casa del Pisa neopromosso e ci vuole qualcosa di simbolico per tirare Inzaghi fuori dal guado. Il Cittadella impersona alla perfezione la catarsi giallorossa. Finisce 4-1, da quel giorno prende avvio una marcia irresistibile che ha portato il Benevento a chiudere da capolista il girone di andata con numeri da record. Con i 46 punti ha fatto meglio del Sassuolo 2014-15 (45) e della Juventus 2006-07 (44), quando la serie B aveva però due squadre in più (22). Soprattutto ha scavato un abisso, visto che il Pordenone secondo è quota 34 e il Crotone, primo delle potenziali non promosse, è a 31. Inzaghi ha fissato il record vincendo 4-0 con l'Ascoli all'ultima giornata, un 4-0 che gli avrà ricordato quello subito in casa quasi un anno fa con il Frosinone e che decretò la sua cacciata da Bologna. Una caduta da cui il tecnico ha saputo risollevarsi come aveva fatto al Milan. Allora ripartendo dalla serie C, vinta con il Venezia, oggi dal Benevento, una delle piazze più ambiziose e calde del meridione d'Italia. Ha ridato orgoglio non solo al presidente, ma a una tifoseria seconda per presenze allo stadio (dietro al Frosinone, con una media poco al di sotto di 10.000 persone).

 

Inzaghi ha dato una solidità di impianto cominciando dalla difesa. Con 9 gol incassati quella dei giallorossi è la meno battuta d'Europa e quattro sono arrivati tutti in una volta a Pescara, un altro 4-0 significativo visto che, da allora, il Benevento ha infilato nove vittorie e un pareggio. Una squadra “allegriana”, verrebbe da dire, visto che - come insegna il tecnico di Livorno - le vittorie si costruiscono incassando meno reti possibile e dando libertà di espressione al talento. Come accade per Marco Sau, tornato quello di Cagliari dopo essersi immalinconito alla Sampdoria, o per Oliver Kragl, centrocampista tedesco che nel sud Italia ha trovato il suo Eldorado. Inzaghi è partito dal 4-4-2, poi è passato a un 4-3-3 o 4-3-2-1 senza gabbie prefissate, linea difensiva esclusa. Come faceva Allegri alla Juventus, quell'Allegri con cui aveva pubblicamente litigato di brutto al Milan (lui alla guida degli Allievi, l'altro della prima squadra) perché visto dal livornese come l'uomo destinato nei piani della società a fargli le scarpe.

 

Oggi i rapporti si sono ricomposti e Inzaghi vive in maniera più distaccata anche il confronto con il fratello minore, allenatore del momento al di là delle due vittorie sulla Juventus. Pippo può trovare a Benevento quello che Simone ha trovato alla Lazio. Il presidente Oreste Vigorito non solo ha solidità economica, grazie al successo nelle energie rinnovabili (è passata alla storia la cessione di una parte dei parchi eolici a International Power nell'agosto 2007: un miliardo e 830 milioni di euro). È anche uomo ambizioso, che vuole riportare il Benevento in serie A e lì tenerlo, dopo la delusione della retrocessione nel 2018 subito dopo la prima storica promozione. Basti pensare che, per un attimo, gli era frullata in testa l'idea di ingaggiare Zlatan Ibrahimovic, idea venuta meno ascoltando Inzaghi e Foggia. Meglio tornare in alto, prima, e senza destabilizzare un gruppo che vince. Poi ci sarà tempo anche per i grandi nomi.

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