Claudio Ranieri (foto LaPresse)

Ci pensa Ranieri, l'"aggiustatutto"

Leo Lombardi

Il cammino della Samp verso la serenità, all'insegna del tecnico romano. Che stavolta non ha puntato tutto solo sul cuore, ma sulla professionalità

Le situazioni tranquille non fanno parte del bagaglio di Claudio Ranieri. Ma lui, con quell'apparente distacco e con la leggerezza dei 68 anni compiuti a ottobre, vi si tuffa volentieri per portare la lucidità che ad altri difetta. Lo avevamo lasciato la scorsa stagione quando, per la prima volta, si era seduto sulla panchina di quella Roma in cui era cresciuto, con cui aveva debuttato da giocatore in serie A e per la quale ha sempre tifato. Lo avevano chiamato al posto di Eusebio Di Francesco, per rimettere in linea di galleggiamento una squadra che si stava sfaldando tra lotte di spogliatoio e dirigenti che salutavano improvvisamente. Doveva salvare un piazzamento in zona Champions League, non ci era riuscito per poco. E al termine del campionato aveva salutato, lasciando una squadra che aveva riacquistato un pizzico di credibilità, grazie a una serie finale di nove partite consecutive senza sconfitte. Aveva salutato e si era messo ad attendere, certo che qualcuno avrebbe bussato alla sua porta, perché si prendesse sulle spalle un'altra situazione intricata.

 

E così è stato, con la chiamata della Sampdoria a metà ottobre. Ancora una volta con una squadra da rianimare, partita all'ultimo posto dalla prima giornata e lì rimasta fino al cambio di panchina. Ancora una volta al posto di un Di Francesco in crisi di risultati e di identità. Ancora una volta in mezzo a una situazione ambientale tutt'altro che serena, con un cambio di proprietà mancato - tra le richieste ritenute eccessive di Massimo Ferrero e gli affondi mancati di presunti acquirenti - e una piazza in ebollizione, con i tifosi pronti a mettersi in caccia del presidente nei luoghi da lui frequentati.

 

E Ranieri, anche a Genova, ha tenuto fede al soprannome che lo accompagna dai tempi del Chelsea. Lo chiamavano tinkerman che, tradotto, significa aggiustatutto. Come quegli artigiani di una volta, che sapevano riparare un rubinetto e, al tempo stesso, montarti un antifurto. Il tutto senza studiare, ma imparando sul campo. Come ha saputo fare Ranieri, che si è costruito una lunghissima carriera da artigiano del calcio, ripartendo dagli errori con una preziosa esperienza in più da tenere cara. Come gli capita nel giro di neanche quattro mesi nel 2014, chiamato dalla Grecia per centrare la qualificazione all'Europeo 2016 e cacciato a metà novembre, dopo una sconfitta interna con le Far Oer, una delle nazionali meno quotate dell'intero pianeta. Un esonero che sembra la morte sportiva di un allenatore che aveva vinto in Italia (Coppa Italia e Supercoppa con la Fiorentina) e in Spagna (Coppa del re e Supercoppa europea con il Valencia), capace di resistere per quasi quattro anni al Chelsea, impresa riuscita a nessun altro sotto Roman Abramovich. Invece, neanche due anni dopo, il tecnico centra l'impresa più clamorosa dalla nascita della Premier League, quando guida il Leicester a un primo posto totalmente inaspettato. Un successo costruito con pazienza e determinazione, mettendo ogni tassello al posto giusto e facendo rendere i giocatori al massimo, ognuno secondo le proprie qualità. Da vero tinkerman, per l'appunto. Una squadra che diventa un'unità di misura, visto che ogni provinciale emergente viene subito paragonata al Leicester (vedi l'Atalanta di oggi). Ma anche una squadra che non avrebbe potuto durare perché certi successi sono il frutto di un allineamento planetario straordinario. E così è stato per le Foxes. Inevitabile l'esonero la stagione successiva, quando la Premier vede il Leicester in zona retrocessione e la Champions League si trasforma subito in un palcoscenico di delusioni. Ranieri va in Francia, dove sfiora la qualificazione in Europa League a Nantes, quindi torna in Inghilterra per un'esperienza deludente con il Fulham. Fino alla chiamata della Roma, cui dice sì per ragioni di cuore e con l'accordo di lasciare a fine stagione.

 

Non è così alla Sampdoria, dove al cuore si sostituisce la professionalità, che richiede un contratto biennale. Ranieri non lo pretende per una garanzia futura, ma per poter lavorare con calma, mettendo tutti i tasselli al loro posto, giorno dopo giorno. Parte proprio con la Roma, strappandole un punto, poi cade a Bologna e sembra finito nella partita successiva, sotto 1-0 in casa con il Lecce. Fino al 90', fino al pareggio di Gaston Ramirez. Da quella giornata la Sampdoria non ha più perso, infilando otto punti in quattro partite che l'hanno portata domenica fuori dalla zona retrocessione per la prima volta, battendo l'Udinese. Nessuna illusione, ben sapendo di aver compiuto soltanto il primo passo. Ma, in un solo mese, il cammino verso la serenità non appare più così complicato. E ci voleva uno come Ranieri per percorrerlo.

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