Foto LaPresse

il foglio sportivo – tifare contro

Breve storia del Daspo

Giovanni Francesio

Perché oggi questo strumento è inefficace e viene utilizzato troppo spesso in modo disordinatamente e arbitrariamente punitivo

Il “Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive”, comunemente abbreviato in “Daspo”, altrimenti detto “diffida”, sta per compiere trent’anni. Fu introdotto infatti con la legge 401 (articolo 6) del 13 dicembre 1989. Il muro di Berlino era caduto da poco più di un mese, e Presidente del Consiglio era Giulio Andreotti, al suo sesto mandato, tanto per dare la misura del tempo. Per quanto riguarda gli ultras, erano anni difficili, duri, forse i più duri e difficili di tutta la storia ultras italiana (basta pensare che proprio nel 1989 avvenne l’assalto dei fiorentini con le molotov al treno dei bolognesi, che rovinò per sempre la vita a Ivan Dall’Olio). Erano anni in cui quel tipo di provvedimento aveva un senso, era un modo per cominciare a fronteggiare un problema reale.

 

Oggi, trent’anni dopo, è cambiato tutto, è cambiato il calcio, sono cambiati gli ultras, sono cambiati persino gli stadi italiani, e la violenza negli stadi è considerata un’emergenza solo da chi non sa assolutamente di cosa parla e allo stadio non ci va mai. Eppure il Daspo è ancora lì. Ma se trent’anni fa era uno strumento sensato, oggi fa quasi soltanto dei danni, perché in mancanza dell’emergenza, viene utilizzato troppo spesso in modo disordinatamente e arbitrariamente punitivo.

 

Da un lato ci sono le diffide a vita, come quella di Claudio Galimberti, e non solo, che tra un rinnovo e l’altro dura da più di vent’anni, e dall’altro assistiamo a episodi di cui davvero non si riesce a comprendere la ratio.

 

A Pesaro, la settimana scorsa, un ultras si è preso cinque anni di diffida. Capisco che possa sembrare strano, ma assicuro i lettori che anche gli ultras sono cittadini italiani: quindi un cittadino italiano è stato per cinque anni privato di un diritto, quello di andare allo stadio, e sarà obbligato a presentarsi a firmare in questura durante le partite, il che come non è difficile immaginare condizionerà pesantemente la vita privata, di questo cittadino italiano, ancorché ultras.

 

Il motivo della diffida? Il motivo è che questo cittadino ha scritto con una bomboletta spray sul muro di cinta dello stadio di Pesaro queste parole: “Per la nostra città”.

 

A me, sembra una follia. Ma evidentemente non soltanto a me, visto che la sanzione della giustizia ordinaria per i pochissimi che vengono condannati per scritte sui muri di edifici, pubblici o privati, nella quasi totalità dei casi è una multa di 300 euro e una pacca sulla spalla. Se invece sei un ultras, e fai una scritta né volgare né offensiva, anzi quasi civica, sul muro di uno stadio squallido e cadente, ti becchi cinque anni fuori dallo stadio e le domeniche in questura.

Di più su questi argomenti: