La Fiorentina è una cosa seria

Il progetto di Commisso e le buone prestazioni di un gruppo giovane che ha trovato in Castrovilli il suo faro

Leo Lombardi

Gli abbonamenti a una squadra sono sempre un buon indicatore, e quelli della Fiorentina 2019-20 davano la tendenza a un tempo bellissimo. Oltre 28.000, in uno stadio che può contenere 43.000 persone. Terzo dato per vendite della serie A e quarto miglior risultato nella storia viola. Il segnale che il cambio di proprietà non era stato vissuto soltanto come una liberazione dalla famiglia Della Valle, ma come un'apertura di credito totale verso il nuovo arrivato. Merito di Rocco Commisso, vero zio d'America sbarcato in Italia per dare concretezza al desiderio di fare calcio. Il pallone gli scorreva da sempre nelle vene, era stata la sua fortuna di calabrese emigrato negli Stati Uniti a inizio anni Sessanta, a 12 anni. Prima, grazie all'abilità nel suonare le fisarmonica, era entrato in una high school senza sostenere l'esame. Poi, con il pallone, aveva ottenuto una borsa di studio con cui si era pagato il 50 per cento della retta alla New York University.

 

E il calcio era presenza costante della sua vita, man mano che le fortune personali crescevano come imprenditore nella tv via cavo. Una passione che aveva trovato sfogo nell'acquisto del Cosmos, il club di New York diventato da noi famoso per aver messo sotto contratto, negli anni Settanta, stelle declinanti come Pelé, Franz Beckenbauer e Giorgio Chinaglia nel tentativo (fallito) di far appassionare gli statunitensi. Ma uno sfogo parziale, perché il calcio vero è quello europeo. E Commisso voleva quello, tornando però alle proprie radici. Nessuna avventura in Premier League, come fatto da tanti colleghi imprenditori a stelle&strisce, ma un romantico ritorno in Italia. Ci aveva provato con il Milan, gettando la spugna all'ennesima giravolta di Li Yonghong. Ci è riuscito con la Fiorentina a giugno, con una trattativa resa rapida dal desiderio dei Della Valle di congedarsi in fretta.

 

A Commisso è stata garantita una fiducia immediata, favorita dal suo calarsi nella nuova realtà. In maniera totale: dalle partite del calcio storico agli incontri con i tifosi, a quelli con le autorità. Il nuovo proprietario si è dato completamente, con una vitalità sorprendente in un settantenne, venendo ripagato dall'entusiasmo dei tifosi. Ha, soprattutto, fatto seguire i fatti alle parole, come ogni statunitense che si rispetti: là le bugie sono una delle colpe più gravi, lo ha fatto capire anche in Italia, dove le accogliamo con un'alzata di spalle, perdonando il perdonabile.

 

Il primo banco di prova è stata la questione Federico Chiesa, che non vedeva l'ora di andare via, per accasarsi alla Juventus. “Non voglio vedere un altro caso Baggio”, ricordando come il Divin Codino vestì il bianconero in un batter d'occhi. Ed è stato di parola: se Chiesa metteva il broncio, Commisso e il suo braccio destro Joe Barone gli facevano capire che i contratti si rispettano, con l'accortezza di toccare le corde giuste per motivarlo. Decisionismo e rapidità di azione (“Fare le cose velocemente” è il suo mantra) che si stanno vedendo anche nella questione stadio, su cui Commisso marca stretto l'amministrazione comunale. Pochi giorni fa l'ha messa sotto pressione acquistando 25 ettari a Bagno a Ripoli, dove costruire la sede e realizzare i campi e le strutture che serviranno agli allenamenti di tutte le squadre viola, fino al settore giovanile. Donne comprese, una realtà cui il presidente tiene tantissimo.

 

Chiarezza di idee che si è vista anche per la prima squadra. È stata costruita sulle motivazioni, quelle che hanno convinto Commisso a mettere sotto contratto il 36enne Franck Ribery. È stata costruita sul talento, soprattutto quello giovane. Nella Fiorentina schierata nell'ultima trasferta vincente di Sassuolo, l'unico ultratrentenne era Kevin-Prince Boateng (32 anni). E l'età media dei titolari tendeva decisamente al basso: c'erano i 22enni Bartlomiej Dragowski, Nikola Milenkovic e Federico Chiesa, il 21enne Gaetano Castrovilli, il 20enne Riccardo Sottil ed è entrato il 19enne Dusan Vlahovic. Tra tutti questi, Castrovilli sta strappando a Chiesa il ruolo di uomo simbolo. Quest'estate era tornato dopo due anni in prestito alla Cremonese, a Vincenzo Montella sono bastati due giorni per porre il veto a una nuova cessione. Lo ha reso titolare nella prima giornata, senza più toglierlo dall'undici iniziale. E con parecchie ragioni, visto come Castrovilli si muove sul campo. Lo fa con la naturalezza di chi avrebbe voluto diventare ballerino, suo desiderio a Minervino Murge, in Puglia, dove è nato. Poi è stata decisiva la passione per il calcio del nonno, fino al provino che lo ha portato al Bari a dieci anni, per una infanzia trascorsa in auto: 200 km, tra andata e ritorno, per gli allenamenti, accompagnato da uno zio.

 

Sacrifici ben accetti, visto la qualità espressa sul campo. Quella che ha convinto la Fiorentina ad acquistarlo per 400.000 euro. Castrovilli è giocatore completo, bravo a difendere, ottimo da mezz'ala ed eccellente da trequartista. Uno che ama il gioco verticale, con un senso del tempo e con un bagaglio tecnico che lo fanno muovere anche da falso nove, come si è visto contro la Juventus. Uno che sa segnare, come si è visto di nuovo con il Sassuolo. Uno che, particolare non da poco in Italia, si applica con successo nel dribbling, arte massacrata nelle scuole calcio dei tempi moderni, per dare spazio a sovrapposizioni e diagonali. Attilio Tesser, a Cremona, lo aveva definito “un talento puro”. Montella, dopo la partita con la Juventus, ha sottolineato: “Forse avremo l'erede di Antognoni”. Paragone impegnativo e ingombrante, visto che in Italia è un'operazione che ha spesso ucciso i possibili successori di un campione. Castrovilli ha le qualità per diventarlo, lasciamolo crescere tranquillo.