Fernando Ricksen alla partita di beneficienza a lui dedicata all'Ibrox Stadium (foto LaPresse)

Il calciatore morto di Sla che disse no all'eutanasia: “Mi piace troppo vivere”

Emmanuele Michela

Fernando Ricksen, raccontò la malattia fino alla fine 

Voleva vivere Fernando Ricksen, con lo slancio che ti lascia una carriera calcistica corsa sempre ad alti livelli e una famiglia con una bimba piccola da crescere. L’ex calciatore dei Rangers si è spento mercoledì dopo sei anni in cui ha sfidato la Sla, una malattia che lo ha progressivamente indebolito senza togliergli – fin quando ha potuto – il desiderio di affrontarla, cercando di strappare a quel male anche solo una settimana in più di vita. Sclerosi che gli fu diagnosticata nel 2013, con i medici che gli dissero che non avrebbe vissuto più di diciotto mesi. Invece, un giorno dopo l’altro, è arrivato a settembre 2019, non perdendo mai un’occasione per raccontare quella gabbia che gli si stava chiudendo addosso. Le serate benefiche (vivevano, lui e la moglie, con una pensione di 1.300 euro), i match con i vecchi compagni di squadra, le foto e le interviste: non si è sottratto a quel male nemmeno nel mostrarsi pubblicamente, per fare in modo che la società non si dimenticasse di chi come lui soffre a causa di malattie neurodegenerative.

 

“Compiangermi non mi aiuta”, disse lo scorso marzo in una lunga intervista al Guardian, quando la sua sofferenza era ormai a uno stato avanzato, le capacità fisiche ridotte a un filo, e per comunicare si serviva di un puntatore oculare. “Sono arrabbiato per questo male. Non ho paura di morire, ma quando non riesco a respirare a causa della Sla, mi sento atterrito”. Terribilmente concreto e vero, uomo fino in fondo con le sue paure e la rabbia, ma pure con la voglia di non crollare prima del fischio finale. Nella sua stanza qualche immagine sacra, ma pure lo scetticismo verso un Dio che può concedere una tale agonia. Quando affiorò il tema relativo all’eutanasia, disse di poter capire anche chi richiedeva tale pratica, ma che non sarebbe stato il suo caso: “Mi piace troppo vivere, non sono pronto per partire”.

 

La morte di un atleta scuote sempre: se ne va un idolo, un amico per tanti tifosi. Ma eventi così sanno anche unire: più di un tifoso del Celtic, storico club rivale dei Gers, negli scorsi anni ha espresso la sua stima e vicinanza a Ricksen. “Ci piaceva fischiarti quando eri un calciatore dei Rangers e sappiamo che la cosa ti esaltava. Solo rispetto per te e per come hai affrontato la malattia”, ha twittato un supporter biancoverde. Pure Lennon, manager del Celtic e avversario di Ricksen sul campo anni fa, in conferenza stampa ieri non si è trattenuto: “E’ terribile, mi spiace per la famiglia e per lui con cui abbiamo combattuto molte battaglie”.

 

Questo sebbene l’olandese fosse stato il rivale che nessuno avrebbe voluto affrontare, spigoloso e duro come piace agli scozzesi. L’approccio con il pallone a nord del Vallo d’Adriano fu tutt’altro che facile: arrivato a Glasgow nel 2000, al primo Old Firm fu sostituito dopo appena 22 minuti in cui Bobby Petta, l’uomo che doveva marcare, lo aveva fatto impazzire. Quel derby finì 6-2 per i biancoverdi, ma i due giocatori diventarono poi amici. Petta mesi fa è andato pure a trovarlo in ospedale, non riuscendo a trattenere le lacrime nel vederlo. In un’altra stracittadina, solo pochi mesi dopo, Ricksen fu espulso ancor prima della fine del primo tempo. In quell’autunno riuscì a diventare anche il primo giocatore in Scozia a essere espulso con prova televisiva, prendendosi cinque giornate per un calcione scoordinato rifilato a Darren Young.

 

Poi però fu un crescendo di affetto e prestazioni: arrivarono due titoli nazionali, uno con tanto di nomina a miglior giocatore del torneo. Nel 2006 passò allo Zenit, squadra con cui vinse un’Europa League e un campionato russo. Poi, dopo il ritiro, il male sfidato di petto, anche attraverso una fondazione che porta il suo nome. Lo scorso giugno, dopo aver invitato amici e tifosi ad un ultimo evento benefico, specificò: “Non voglio che sia il mio ultimo giorno. Continuerò a combattere, ma il resto della battaglia avverrà lontano dai riflettori”.

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