Fabio Pecchia (foto LaPresse)

Ricomincio da C. Pecchia e il ritorno alla Juventus (Under 23)

Leo Lombardi

L'ex centrocampista, che in bianconero fu voluto da Marcello Lippi, è di nuovo a Torino. Allenerà la squadra B dei campioni d'Italia

L'anno scorso fu il classicissimo “armiamoci e partite” all'italiana. Tutti a raccontare quanto fosse bella, importante e al passo coi tempi la creazione delle seconde squadre professionistiche, per togliere i ragazzi dall'atmosfera ovattata della Primavera e buttarli in un confronto in serie C contro vecchi filibustieri, che avrebbero insegnato loro cosa significasse stare su un campo. A parole, entusiasmo e perplessità si equivalevano. Nei fatti, fu solamente la Juventus a cogliere l'opportunità per far nascere in tutta fretta, dopo la metà di luglio, una squadra costruita su Primavera in uscita per limiti di età e ritorni alla base di chi era cresciuto in bianconero senza squilli successivi.

 

Il bilancio era stato tutto sommato anonimo. Squadra salva con discreto anticipo (un merito, vista la velocità nella costruzione) ma senza portare qualcosa di altro a casa (un demerito, se ti chiami Juventus). Alcuni giocatori erano anche transitati in prima squadra, chiamati da Massimiliano Allegri per qualche apparizione estemporanea, quando il tecnico si era trovato con le forze al minimo e con titolari da far riposare in chiave Champions League. Si erano così visti Kastanos, Nicolussi Caviglia, Mavididi, Gozzi oppure Portanova: toccate e fughe, con l'emozione dell'esordio in prima squadra e un futuro tutto da scrivere. Lo stesso Allegri, quando interpellato, parlava di questi giocatori come di elementi di sicuro interesse, ma non tale da pensare a un destino in bianconero. Un piano B, come quello delineato dall'allora responsabile del progetto Fabio Cherubini: “Vogliamo avere ragazzi da Juventus o, in alternativa, da club europei di prima fascia, che possano trasformarsi in ricavi e plusvalenze da cessioni”, spiegava in un'intervista a l'Ultimo Uomo. Il piano B, per l'appunto: fare cassa con elementi da vendere bene. Una via alternativa per alimentare la prima squadra, grazie a elementi ormai svezzati dai minutaggi e quindi più facilmente piazzabili sul mercato.

 

Al posto di Cherubini oggi c'è Filippo Fusco, che in panchina ha scelto Fabio Pecchia, un suo fedelissimo. Tocca a lui guidare la Juventus Under 23, anche nella prossima stagione unico prolungamento di un club di A in serie C. Per farlo è tornato precipitosamente in Italia, dopo sei mesi appena di seconda divisione in Giappone. Era andato all'Avispa Fukuoka sul declinare del 2018, lo ha salutato a inizio giugno, congedandosi da una squadra che navigava nelle zone basse della classifica e per legarsi pochi giorni dopo al bianconero. Un ritorno al passato per Pecchia, che poco più di vent'anni fa era transitato alla Juventus. Nel 1997 lo chiama Marcello Lippi, che quattro anni prima lo aveva fatto esordire a Napoli. Centrocampista di contenimento e di costruzione, per le sue caratteristiche era stato eletto dai tifosi come erede di Nando De Napoli, con cui condivideva anche l'esperienza con l'Avellino, prima della chiamata del club azzurro. Alla Juventus vince uno scudetto e saluta immediatamente, per mancanza di spazi. Un'inquietudine che gli impedisce di stare per due anni consecutivi nella stessa squadra. Magari ci torna, come capitato con il Bologna, con il Foggia e con lo stesso Napoli, ma sempre con la valigia pronta e sempre con quei libri che lo portano alla laurea in giurisprudenza nel 2007: “Studio perché apre la mente”.

  

In panchina è un figlioccio di Rafa Benitez, con cui condivide le esperienza a Napoli, Madrid (fronte Real) e Newcastle. Nel 2016 si rimette in proprio, quando Fusco lo chiama a Verona: promozione e retrocessione nel giro di due stagioni. Ora la Juventus, per un posto che aveva avuto quali candidati altri ex come Andrea Pirlo e Fabio Grosso. Pecchia riparte dalla serie C, come aveva fatto Marco Giampaolo quando aveva scelto Cremona per ricostruirsi una carriera. Più che una squadra, ha un progetto tra le mani. Sarà più importante di una promozione, se riuscirà a dargli una base solida per il futuro.

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