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Valentino Rossi, è ora di smettere?

Umberto Zapelloni

L’ultima possibilità del Dottore prima di arrendersi alla carta d’identità. E intanto sono 35 gare senza vittoria in MotoGp
 

Quando vai a una festa con tre amici, tutti ben vestiti e attrezzati come te e loro finiscono la serata in compagnia, mentre tu te ne resti da solo a far tappezzeria, cominci a farti qualche domanda. Detto che un Valentino Rossi in versione cacciatore non è mai tornato a casa senza preda in vita sua, il discorso scivola inevitabilmente sullo sport. E quando vedi tre moto come le tue fra le prime cinque, mentre tu sei finito nella sabbia per la terza volta di fila, oltretutto tirandoti dietro un povero giapponesino, le domande non te le fai solo tu. Cominciano a fartele un po’ tutti, anche perché il partito di quelli del “Valentino è finito” è sempre pronto a rispuntare fuori come negli anni in Ducati, quando il digiuno assunse proporzioni da record: 44 gare senza una vittoria. Per uno che ne ha vinte 115 su 391 capite che non sono buchi neri abituali. Adesso che di anni ne ha 40, è arrivato a 35 di fila. Da Assen 2017 ad Assen 2019. La sua pista preferita dove ha vinto 10 (sì, dieci!) volte. Mentre lui si rialzava dalla sabbia andando a verificare che Nagasaki non si fosse fatto male, là davanti tre Yamaha lottavano per vincere e alla fine il suo compagno di scuderia Maverick Viñales, vinceva pure. Tu nella sabbia e lui sul gradino più alto del podio. Peggio di un frontale con Sergio Parisse. Ma Valentino se n’è andato dall’Olanda con una speranza. “Ho visto uno spiraglio”, ha detto.

  

Domenica avrà già un’occasione in Germania, dove l’ultima volta ha vinto dieci anni fa, ma dove l’anno scorso ottenne l’unico secondo posto della stagione. Non dovrebbe essere una pista ostica per le caratteristiche della Yamaha, anzi. Ma ad Assen le Yamaha di Viñales, Quartararo e anche Morbidelli erano una cosa, quella di Vale un’altra. Comincia ad avere difficoltà in qualifica e poi in gara va giù per terra. I problemi in qualifica stanno diventando una costante in quest’ultima fase di Valentino che nelle ultime 26 gare ha conquistato solo una pole e 4 prime file. Il problema è che mentre Valentino non riesce a qualificarsi tra coloro che lottano per la pole, il miglior tempo lo ottiene una moto come la sua, oltretutto guidata dall’ennesimo sbarbato arrivato a mandarlo in pensione. La differenza con la crisi del periodo Ducati sta proprio qui. Valentino le becca dal suo compagno di squadra, gente che di solito era lui a bastonare, anche se finora la classifica del Mondiale racconta un’altra storia.

 

C’era una volta il Valentino che vedeva una mezza occasione e la trasformava in vittoria. Oggi è più facile che quella mezza occasione, qualche volta addirittura una mega occasione, si trasformi nell’ennesima delusione. È arrivato il momento di smettere? Di arrendersi all’evidenza dei 40 anni che sono pochi per vivere, ma tantissimi per vincere? Per Carlo Pernat, vecchia volpe dei circuiti, oggi manager, commentatore e scrittore il problema è abbastanza chiaro: “Rossi non è sulla via del tramonto, qualche podio lo ha fatto; la Yamaha non è un problema perché in Olanda abbiamo visto tre M1 davanti; non resta che la squadra, è lì che Valentino deve agire. Deve pensarci bene e decidere come intervenire perché se non cambia qualcosa rischia di non tornare più quello di prima. Intendo la squadra che lavora con lui naturalmente…”. La tesi della squadra da rivedere per lavorare meglio insieme non è solo di Pernat. Può essere il tentativo estremo per ribaltare la situazione prima di arrendersi alla carta di identità. Vale che è sempre stato un animale da gara più che da qualifica e spesso trovava la magia nella notte del sabato prima del warm-up, oggi non può più permettersi di partire dietro, perdere giornate per la messa a punto della sua M1. C’è attorno troppa gente affamata del suo sangue. “Una volta c’erano le otto moto ufficiali, oggi anche lo non ufficiali sono sullo stesso livello e non puoi più rischiare di partire ottavo se vuoi vincere”, l’analisi di Pernat.

 

Valentino ha sempre detto che avrebbe corso fino a quando si sarebbe divertito. Difficile che lo abbia fatto nelle ultime tre gare di quest’anno, finite come sappiamo, due per colpa sua e una, la terza, per aver fatto da birillo a Lorenzo. Valentino, da buon interista però è abituato a soffrire per poi prendersi delle rivincite con il sapore del Triplete. Ha sette vite, sportivamente parlando. Quando ha trovato il feeling con la moto ha dimostrato di poter ancora stare con i primi. È che trovare quel feeling diventa sempre più difficile, è che di avversari ne spuntano di nuovi a ogni curva, come se stesse giocando a un videogame sparatutto. Un grande campione deve capire quando è arrivata l’ora di smettere prima che a dirglielo sia qualcun altro. Con le vittorie, più che con le parole. Valentino oggi sa di non valere più quanto Márquez, ma sa anche che nel giorno perfetto potrebbe batterlo ancora. E questo lo tiene in vita, lo tiene in moto. Ma quando si accorgerà di non valere più Dovizioso, Viñales, Quartararo, Rins e compagnia, allora la situazione si farà davvero spessa. Allora converrà davvero togliersi il casco e lasciare con un sorriso dei suoi. Ci ha divertito, si è divertito, ma l’eternità nello sport non è ancora permessa. Neppure per le leggende.

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