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“È l'anno più difficile per vincere”. Dovizioso si racconta

Giorgio Burreddu

Il Gp decisivo di Le Mans, gli avversari più forti e la Ducati più competitiva

"Guardare la cosa che stai guardando da un altro punto di vista ti può aiutare: c’è sempre il lato positivo in una situazione negativa". Andrea Dovizioso a un certo punto ha cambiato tutto: pelle, ragione, sentimento, ambizione, motore, vertigine, prospettiva. Era il 2017, con Marc Marquez aveva lottato fino all’ultimo giro del Mondiale di MotoGp, fino all’ultimo respiro, si era arrabbiato, aveva dovuto accettare di aver perso. Ma qualcosa era cambiato. Oggi, due secondi posti dopo, Dovizioso è un uomo nuovo. “E’ un anno importantissimo – racconta al Foglio Sportivo – un anno molto complicato. Ci sono tanti piloti forti, piloti che si possono giocare il campionato. Negli ultimi siamo stati sempre solo in due, io e Marc. Adesso è più difficile, stressante, complicato. Abbiamo alzato l’asticella, gli avversari pure. Ma ce la giochiamo. Dobbiamo continuare a lavorare bene. Siamo nel gruppo che si può giocare il titolo”.

 

Il Gran Premio di Le Mans è per il Mondiale un passeggio decisivo. I circuiti in Europa sono un tritatutto, se perdi terreno finisci ai margini. Al punto che la Ducati di Andrea, che a Jerez non era stata abbastanza svelta (4°), ha ora bisogno di un salto in avanti, di una proiezione verso il successo.

 


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Passano da qui, dalla pista francese, le ambizioni di Dovizioso. Che a poche ore dalla gara ha assicurato: “Saremo competitivi”. D’altra parte sono appena tre i punti che lo separano dalla vetta (67 lui che è 3°, 70 Marquez, 1°), che sono però anche la differenza tra il successo e la gloria, tra l’avere tutto e niente. “Maturare, fare esperienze ti porta a capire di più come funziona l’essere umano, a capire un po’ di più certe dinamiche della vita e così vivi molto meglio – dice – ti comporti in un modo che ha più significato, e tutto diventa più produttivo e sensato, sei meno arrabbiato, capisci più cose di te, dai importanza solo a quelle che contano davvero. E questo ti aiuta a gestirti. Una delle difficoltà più grosse è la gestione. Di piloti bravi ce ne sono tanti, ma è la gestione che fa la differenza”.

 

Dice Andrea che “la testa conta più di tutto, ha la priorità” anche sulla moto, e che il suo fisico “regge bene” persino a 33 anni. “La mia situazione adesso è la migliore situazione della mia vita”. Vive a metà tra l’immortale Valentino Rossi e il giovane Gatsby Marquez: Dovizioso corre cercando nuove possibilità. “L’età ti cambia. Io sono cambiato, sono diventato più calmo e più tranquillo, più riflessivo, per cercare di gestirmi nel migliore dei modi in ogni situazione. E questo mi ha aiutato un sacco. Sono cambiato un po’ nei desideri: se voglio una cosa la faccio subito, prima posticipavo”. Quando era piccolo Antonio, il suo papà, con un vecchio camper grande così guidava fino alla pista di San Mauro a Mare. Lì c’erano sempre i proprietari, Stefano e Denis Zocchi, accendevano le luci e il piccolo Andrea girava tutto il giorno, fino a sera tardi. “La mia prima volta con le mini-moto è stata da loro. Anzi, la maggiori parte dei piloti ha cominciato da loro. Hanno un metodo e una pista adatta, ci ho passato parecchi anni di allenamento, d’inverno e d’estate, di sera, momenti di gioco, loro sono persone squisite, era bello trovarsi la sera e fare qualche garetta”. Erano gli anni delle prime volte, della velocità come rappresentazione di un sogno. Anche se oggi Dovi assicura: “Non sono dipendente dalla velocità”. La prima moto fu un Malaguti Grizzly, “aprii la porta ed era lì: è l’unica che ho ancora”. Antonio lo portava nel capannone dove faceva le poltrone e i divani, e Andrea si metteva a fare le derapate col triciclo tra le corsie, senza urtare niente. Gli comprò un Tenerè elettrico, ma durò poco. “Papà, voglio una moto che faccia rumore”. Il babbo gli rispose che doveva prima imparare ad andare in bici senza rotelle. “Allora toglimele”.

 

Il sapore del successo lo assaggiò gara dopo gara, ma da subito ne ha compreso l’enormità. “Già dalle mini-moto, quando fai la differenza e vinci i campionati, ti rendi conto di essere forte”, racconta Andrea. Fu però il secondo anno in 125 che portò Dovizioso a guardare le moto da una prospettiva diversa, nuova. “Lì ho capito che si poteva fare bene, infatti ho avuto una evoluzione continua, fino al successo del Mondiale”. Era il 2004. Cambiò tutto, ma quello che in Dovizioso non è mai cambiato è il cuore. Da ragazzino correva per quelli della Grc, che ai tempi gli diedero una mano. Sedici anni dopo, quando cominciò a poterselo permettere, Andrea comprò una Ducati e la spedì al titolare: era il suo modo di dirgli grazie. Per anni è stato nel team di Giovanni Torri e di sua moglie Elena, il Team Scot si chiamava, che un giorno andarono al Mugello a vedere questo ragazzino coi i riccioli e i brufoli. L’avventura insieme durò sette anni, l’amicizia resiste ancora. A volte Giovanni lo portava a San Patrignano, gli spiegava le difficoltà della gente, e Andrea stava lì, ascoltava, imparava. Guardava il mondo da quella prospettiva. “Sono persone per bene, che mi hanno aiutato. Sono fortunato ad avere la loro amicizia”. Gli amici sono una parte fondamentale nel mondo di Dovi. Quelli del Ten Bota Team più di altri, forse di tutti. Sono vecchi compagni di scuola, gente che cui ha stretto i rapporti nel tempo, che un giorno hanno deciso di mettere su una squadretta per dividere la gioia e la passione del motore. “Ho dovuto tenere duro per anni”, spiega Andrea, “quando arrivi secondo è un po’ pesante, e allora insieme ci siamo inventati questo nome, Ten Bota Team, team tieni duro, è romagnolo. Alcuni si sono fatti anche un tatuaggio”. Poi è arrivata Sara, la sua bambina, e la prospettiva di Dovizioso è cambiata ancora, di nuovo, si è fatta più ampia. “Conciliare la vita del pilota e quella del padre è una cosa molto complicata. Ma non c’è un metodo, padri e figli ce ne sono di tutti i tipi, non c’è un modo, il padre deve cercare di non dare troppo al figlio negli anni in cui deve crescere. Perché questo diventa controproducente quando deve tirare fuori le palle, è normale trovare ostacoli in questo percorso”. Sul suo percorso Andrea ha incontrato tanti ostacoli. Ma la passione non è mai venuta meno, da qualunque prospettiva l’abbia guardata. “La moto non ha mai perso di fascino, la passione è rimasta alta come quando ero piccolo, e questo nonostante i week-end stressanti. Quando arrivo a casa non vedo l’ora di fare altri allenamenti, e la passione mi ha fatto vivere e continua a farmi vivere una vita molto eccitante, adrenalinica, impegnata. Non è scontato, riuscire ad avere questa fortuna ti fa svegliare la mattina, ti fa approcciare la giornata in modo migliore di come potrebbe essere senza le moto”. E c’è caso che quest’anno, guardando dal punto giusto, trovi il modo di vedere come arrivare al titolo.

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