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Il caso Semenya e la discriminazione necessaria

Giorgia Mecca

Quando c’è la sudafricana in pista la concorrenza diventa sleale, non è colpa dell’atleta, non è colpa di nessuno in realtà, se non della genetica

Gli atleti sono il loro corpo. Dipende tutto da lui. Non esiste allenamento, fatica, dedizione senza un muscolo a cui applicarli. Il corpo comanda, sempre. Fuori dallo sport si può dimenticare di averne uno, si possono mettere da parte la propria sessualità, la fisiologia, gli ormoni. In campo, qualunque esso sia, no. Lo sport è democratico; fa un’unica grande distinzione: da una parte le donne e dall’altra gli uomini. Non è sessismo, è fisiologia e bisogna rispettarla. Per il resto è un continuo tutti contro tutti in cui vince sempre il migliore. Ad armi pari.

 

Caster Semenya è un’altra storia. L’atleta sudafricana vincitrice di due incontestabili ori olimpici negli 800 metri, è iperandrogina: produce più testosterone rispetto alla media femminile. Questo la avvantaggia rispetto a tutte le altre in termini di forza e di massa muscolare. Le sue avversarie lo ripetono da anni: “Siamo due razze diverse”, ha detto piangendo l’atleta Lynsey Sharp nel 2016 dopo essere stata sconfitta dalla sudafricana. Quando c’è Semenya in pista la concorrenza diventa sleale, non è colpa dell’atleta, non è colpa di nessuno in realtà, se non della genetica. La sudafricana ha appena perso un ricorso contro l’Iaaf che dal’ 8 maggio impone alle atlete con un alto tasso di testosterone (sono 114 in tutto) di assumere dei farmaci in quantità massiccia per ridurlo se vogliono continuare a gareggiare tra le donne; una specie di antidoping al contrario, per ridurre la qualità delle proprie prestazioni. Semenya, vuole correre in maniera naturale, come ha sempre fatto, con l’unica cosa che ha davvero a disposizione, il suo corpo. Si sente discriminata e infatti lo è, glielo ha confermato anche il Tas, che poi però ha aggiunto che questa discriminazione è “necessaria, ragionevole e proporzionata per preservare l’integrità della competizione femminile”. Francine Niyonsaba, anche lei androgina, ha commentato: “Non ho scelto io di nascere in questo modo”. Ha ragione a protestare: non ha avuto scelta, si è trovata obbligata a convivere con un corpo che le sta stretto addosso. Troppo ingombrante e troppo mascolino. E’ la natura che impone la propria legge. Ma anche lo sport ha le sue, e bisogna rispettarle.

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