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Addio motori rombanti. Perché piace il silenzio della Formula E

Umberto Zapelloni

A Roma auto elettriche che ronzano per le strade dell’Eur e un pubblico giovane che non segue la Formula 1. Il futuro (lontano) è questo? Parla Giampaolo Dallara, l’ingegnere che disegna le monoposto

Se oggi, passando dalle parti dell’Eur a Roma, doveste sentire uno strano ronzio, non preoccupatevi. Non è in corso un’invasione di calabroni giganti. Sono le monoposto di Formula E in pista per il secondo e-Prix della capitale, la 52esima gara del campionato elettrico arrivato alla sua quinta stagione. Mentre in Cina la Formula 1 festeggia la gara numero 1.000 di un’avventura cominciata il 13 maggio 1950, la serie nata dallo schizzo disegnato su un tovagliolo di carta da Alejandro Agag, prosegue la sua marcia alla conquista di pubblico, consensi, sponsor e costruttori. Agag, genero di Aznar ed ex socio di Briatore e di Ecclestone nel Queen’s Park Rangers, è un visionario seduto su una miniera d’oro. Viene considerato l’Elon Musk del motorsport. Come Musk ha creduto nell’elettrico prima che il diesel gate lo trasformasse in una necessità attirando gli investimenti di tutte le case costruttrici di auto. Come Musk ha fatto la figura del pazzo, prima di essere invidiato. “Mi dicevano: non arriverete a 5 gare. Siamo a 52”. La prima gara del campionato di Formula E si disputò il 13 settembre 2014 a Pechino. Da allora 65 piloti si sono sfidati nel cuore di 20 città distribuite in tutti i continenti. Ma a dar le dimensioni del fenomeno è soprattutto un dato: 8 costruttori impegnati in prima persona: Audi, Bmw, Ds, Mahindra, Nio, Nissan, Jaguar e Venturi con Mercedes e Porsche che hanno già annunciato e pianificato il loro arrivo per l’anno prossimo. La casa di Stoccarda per lanciarsi nella sua Mission E ha abbandonato le gare di durate come LeMans, su cui aveva costruito una storia di successi. Manca un costruttore italiano, ma prima o poi anche il Gruppo Fca avrà tecnologie e risorse da investire, magari sfruttando un marchio storico come Maserati, come sognava Sergio Marchionne.

 

Per ora l’Italia, rimasta senza piloti (l’ultimo è stato Filippi), ha sponsor (Moretti Polegato che vinceva in Formula 1 con Red Bull ora con Geox ha dato il nome al team Dragon oltre che all’e-Prix romano, Enel X fornisce la “benzina” essendo l’Official Smart Power partner) e soprattutto è la madre di tutte le monoposto che vengono progettate e prodotte dalla Dallara a Varano de’ Melegari, in un’azienda che rappresenta ormai un’eccellenza italiana nel campo del Motorsport con i suoi oltre 650 uomini distribuiti tra Parma, Varano e gli Stati Uniti. Ogni weekend ci sono almeno 300 Dallara in pista nel mondo, giusto per dare un’idea di che cosa sia diventata oggi l’azienda fondata nel 1972 dall’ingegner Giampaolo Dallara dopo le sue esperienze in Ferrari, Maserati, Lamborghini e De Tomaso. Per chi non lo sapesse è uno dei papà della Miura, la Lamborghini che ha fatto e fa sognare milioni di appassionati.

 


Illustrazione di Cinzia Franceschini


 

Quando Alejandro Agag si mise in testa di organizzare un campionato per monoposto elettriche in molti gli pronosticarono un rapido fallimento, a cominciare dal suo amico Briatore che pure con lui aveva già fatto parecchi affari anche in Formula 1. Bernie Ecclestone aveva addirittura definito tosaerba quelle monoposto ronzanti che toccano i 280 chilometri orari e scattano da 0 a 100 all’ora in meno di 2 secondi e 8 centesimi. Mai il vecchio Bernie fece valutazione più errata. Da quando anche Papa Francesco ha ricevuto e benedetto le monoposto di Formula E, prima della gara dello scorso anno, tutti guardano Agag e il suo circo silenzioso con occhi diversi. Roma era sempre stata nei piani del campionato. Agag aveva già inseguito un accordo ai tempi di Alemanno sindaco, poi le porte si sono aperte con il sindaco Raggi che ha intuito l’affare e almeno ha levigato (a spese degli organizzatori) le strade dell’Eur, probabilmente le uniche di Roma senza buchi…

 

Mister Formula E, questo spagnolo che non ha mai ingabbiato i suoi sogni, non vuole fare concorrenza alla Formula 1, ritiene complementari i due campionati, ma intanto butta lì una frase che non può passare inosservata: “Il nostro campionato è una palestra per le tecnologie e la mobilità del futuro. In quattro anni abbiamo raddoppiato la durata delle batterie. Non siamo concorrenti della Formula 1, ma non vedo perché in futuro la Formula 1 non possa diventare un campionato elettrico…”. Probabilmente faremo in tempo a diventare vecchi prima che le auto attorno a noi si trasformino tutte in auto a batteria, ma non si sa mai. D’altra parte chi, trent’anni fa, poteva prevedere che oggi nessuno avrebbe più mosso un passo senza un telefonino appicciato all’orecchio?

“Il nostro campionato è una palestra per la mobilità del futuro”. In quattro anni raddoppiata la durata delle batterie

4 campioni diversi in 4 anni, 6 vincitori diversi in questa quinta stagione. Quel che verrà oggi è difficile da prevedere

La Formula 1 è il passato e il presente. La Formula E è il presente e il futuro. Sarebbe un po’ troppo semplicistico ridurre tutto a queste separazioni temporali. Meglio dire che la Formula 1 ancora oggi rappresenta il massimo delle prestazioni per un’automobile, mentre la Formula E rappresenta la sostenibilità e, probabilmente, una parte del futuro della mobilità. “Non credo che i grandi Costruttori amino buttare via i loro soldi e oggi non esiste nessun campionato al mondo che ne vede coinvolti tanti quanti quello di Formula E. L’auto elettrica rappresenta indubbiamente il futuro, anche se questo non significa che spariranno tutte le altre competizioni motoristiche. Di certo questa Formula E è il campionato che ci voleva perché ha risvegliato l’interesse dei grandi costruttori, dei media e del pubblico che è diverso da quello della Formula 1. E i risultati finora sono andati al di là anche di quelle che erano le migliori aspettative ”, dice al Foglio Sportivo l’ingegner Giampaolo Dallara, l’uomo la cui azienda ha disegnato, progettato e prodotto le monoposto del campionato, sia quelle dei primi anni che questa generazione 2 uscita direttamente da un videogame o da un film di fantascienza, con le sue forme proiettate nel futuro. “Gli organizzatori hanno dato un indirizzo robusto all’aspetto stilistico della vettura. La loro impronta è stata forte, ci hanno dato un indirizzo deciso su come volevano le vetture, noi poi abbiamo lavorato sull’aerodinamica per renderle efficienti”, spiega Dallara, che nel momento del massimo sviluppo delle monoposto ha impegnato più di 30 persone al progetto. Dallara dà agli organizzatori dei grandi meriti. Avevano bene in testa il risultato che volevano raggiungere dando massimo risalto all’aspetto delle vetture che tra generazione 1 e generazione 2 non hanno migliorato solo le prestazioni (da 180 a 200 kWh in configurazione gara), ma soprattutto il look, che davvero le fa davvero sembrare autovetture venute dal futuro.

“Noi siamo contenti di non essere soltanto i costruttori della parte meccanica, ma anche di aver collaborato in aree nuove, come quelle della sicurezza, utilissima anche per le auto comuni, e al lavoro sui contenitori delle batterie – continua l’ingegner Dallara – Insomma siamo contenti di aver contribuito a capire il grande cambiamento che oggi c’è attorno all’automobile e a una categoria che ha saputo progredire in fretta. Pensiamo che solo l’anno scorso per completare una gara erano necessarie due vetture, a metà distanza ci si doveva fermare perché le batterie erano finite. Oggi con una vettura sola e quindi una sola batteria si completa tutto l’e-Prix”.

La formula vincente di un campionato che non si corre negli autodromi, ma nei centri cittadini, sta anche nel fatto che tutto si esaurisce in un giorno. Prove libere, qualifiche e gara che viene disputata a tempo su 45 minuti (più un giro). Non c’è tempo per annoiarsi. Anche se i circuiti cittadini non favoriscono i sorpassi le gare quest’anno sono sempre state combattute con 6 vincitori diversi nei primi 6 appuntamenti ed e-Prix che addirittura si sono risolti con uno sprint tra l’ultima curva e la bandiera a scacchi. Per attirare il pubblico più giovane è stata inventata anche un zona in cui ricaricare la propria auto con un extraboost. Basta passare (una volta sola a gara) su una zona segnata sul circuito (e ben visibile in tv – a proposito, è Italia 1 a seguire tutto il campionato) per prendere energia e passare in modalità attacco. Un po’ come nei videogame di Super Mario. Un extraboost lo hanno anche i piloti più votati attraverso la app ufficiale della serie, così da coinvolgere ancora di più gli spettatori. Sono tutte idee che magari faranno storcere il naso ai classici appassionati duri e puri degli sport a motore, abituati alle solite regole e all’odore di gomme e benzina, ma è stato proprio sfruttando tutte queste soluzioni da videogame che la Formula E è riuscita ad attirare un pubblico giovane, proprio quello che la Formula 1 sta disperatamente inseguendo a colpi di campagne social.

“Le monoposto di FormulaE nascono tutte uguali – aggiunge Dallara – ma poi i costruttori intervengono sui motori, sul cambio, sui sistemi per rigenerare l’energia. È bello vedere un mondo che sta crescendo alla grande e ormai ha cancellato lo scetticismo che lo circondava all’inizio. C’era curiosità, c’era interesse, ma nessuno pensava che potesse richiamare una partecipazione di costruttori e quindi di investimenti così grande”. Il resto lo fanno il calendario che porta il campionato nelle grandi città e i piloti che stanno diventando sempre più specialisti visto che il modo di guidare un’auto elettrica è completamente diverso. Magari i campioni del futuro un giorno arriveranno direttamente dai videogiochi. Oggi ne arrivano ancora in tanti dalla Formula 1, ma come racconta Felipe Massa non è semplice adattarsi quando ti devi confrontare con specialisti che sono nella serie da gara 1.

Anche l’ingegner Dallara è convinto che oggi Formula 1 e Formula E siano due campionati complementari, ma come Agag, anche lui non riesce a immaginarsi completamente il futuro: “La Formula E sta alla Formula 1 un po’ come i campionati Endurance stanno a Le Mans. Sono categorie diverse per un pubblico diverso. Però le attenzioni e gli investimenti dei costruttori potrebbero influire molto, anche perché si tratta di un terreno di ricerca importante. Gli organizzatori sono stati bravi a programmare anche la liberalizzazione degli interventi sulle auto. Se lo sviluppo fosse totalmente libero ci sarebbe una squadra assolutamente vincente verrebbe a mancare l’equilibrio che è uno dei fattori vincenti di un campionato dove tutti possono avere la speranza di essere protagonisti”. Un altro dei segreti è questo. Quattro campioni diversi in quattro anni, sei vincitori diversi in questa quinta stagione. Quel che verrà oggi è difficile da prevedere. Ma basta guardarsi attorno per capire che il mondo dell’auto sta attraversando una trasformazione paragonabile solo a quella che avvenne quando le carrozze lasciarono la strada ai cavalli motore. Oggi tutto si sta facendo molto più silenzioso. Ma ugualmente elettrizzante.

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