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L'addio di un gigante, Alberto Bucci

Alessandro Bonan

Era stato un allenatore di basket vincente, ma del successo gliene importava il giusto. A lui interessava l’anima

Un uomo diventa grande quando comincia a credere nella vita. Alberto Bucci, in questo senso, è stato grande da subito. Fin dai primi passi, così strampalati, come li definiva lui stesso, vittima della polio. Una grandezza che si misurava essenzialmente nella curiosità che Bucci aveva nel conoscere le cose, i fatti, ma soprattutto le persone.

 


Elaborazione grafica da foto LaPresse


 

Era stato un allenatore di basket vincente, ma del successo gliene importava il giusto. A Bucci interessava l’anima. Come un vampiro buono si nutriva del sangue della nostra anima. Poi, come corroborato da quell’inspiegabile nettare, raccontava il suo modo di intendere la vita. Con una voce decisa, sicura, quasi imbarazzante nella sua forza – potenza di una cascata che ti schiacciava a terra, sorprendendoti. L’inevitabile reazione davanti alle parole di un uomo tanto energico era di ammirazione. Una spontanea forma di meraviglia, come quella che si prova davanti ad un’opera d’arte, che sia dell’uomo o di di Dio. In breve, insieme alla stupefazione, si faceva largo uno stato molto intimo di benessere. Qualcuno ha detto: era bello abbracciarlo. E in effetti nei suoi abbracci trovavi un calore speciale, la sua personale maniera di creare una rapida forma di empatia. Bucci sapeva ridere, del mondo, di sé, della malattia con cui ha combattuto. Quando ne parlava alzava ulteriormente il tono della voce. Lo faceva per due motivi: rendere il tumore qualcosa di inferiore rispetto a lui e al tempo stesso vincere la personale emotività. In questo era un inflessibile censore dei propri stati d’animo. Era come se avvertisse il rischio dell’abbandono, intervenendo con uno scatto del corpo e della voce. Anche in questo comportamento mostrava dignità e pudore.

 

Alberto Bucci sapeva amare senza chiedere nulla. Sceglieva sulla base dei sentimenti, privo di quella malizia che muove i corrotti, quelli per cui l’affetto è solo una pretestuosa finzione per scambiarsi qualche favore. A volte era di una sincerità disarmante, tanto da scuotere le coscienze di chi “subiva” le sue parole. Che però venivano espresse in maniera chiara, senza quella retorica falsa che offende l’intelligenza degli uomini. Bucci, in quei momenti, correva il rischio di far male solo per l’ambizione di migliorare lo stato delle cose. A volte giocava d’istinto, ma se sbagliava il tiro era capace di chiedere scusa. La sua umanità si rifletteva nella sua onestà. Sapeva accendere una luce laddove tutti vedevano un buio, emozionarsi in mezzo alla tempesta, se dentro quella tempesta c’erano amore e sincerità. Per lui la vita era vita due volte. Per noi la sua mancanza, l’addio di un gigante.

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