Adrenalina e snowboard, il mondo di Michela Moioli

L’amore per il surf della campionessa lombarda, bronzo e argento mondiale. “Andare a medaglia di nuovo è la cosa più difficile”

Giorgio Burreddu

"Le vittorie e le medaglie non cambiano la mia percezione del mondo, quella è sempre la stessa. Se si ha un sogno in qualche modo lo si può realizzare. Il mondo è un luogo bellissimo e spesso ci perdiamo in problemi inutili”. Deve essere stato quando da bambina i suoi genitori la portavano al lago e lei si metteva in piedi sulla tavola che legava a un albero per ricercare l’equilibrio e l’onda. O forse è stato quando il suo papà le insegnava a distinguere i semi, la portava a raccogliere e a coltivare le fragole e le spiegava che la natura abbraccia sempre tutto. Michela Moioli ha imparato ad accettare molto presto i dettagli del mondo, quel luogo bellissimo e crudele che riesce a riempire con le lacrime e i sorrisi, con gli orizzonti e le medaglie. Le ultime due se l’è prese ai mondiali di Park City, nello Utah. Un argento a squadre (con Omar Visintin) più un bronzo nell’individuale. E con questo sono tre i Mondiali che Michela ha chiuso al terzo posto, la prima volta era stata a Kreischberg nel 2015 e poi due anni dopo in Sierra Nevada. Continua dunque a mancarle l’oro, ormai l’unico pezzettino di gloria che le serve per poter dire di aver vinto tutto quello che c’era da vincere nello snowboard cross. Ci riproverà: ha soltanto ventitré anni. “Rivincere è ancora più difficile che vincere la prima volta. Bisogna trovare nuovi stimoli e nuovi obiettivi”, racconta al Foglio Sportivo.

 

“Da quando mi sono rotta il ginocchio qualcosa è cambiato. So di non essere invincibile. Farmi male mi ha fatto bene”

“Papi, mi sento come quando ero piccola e aspettavo Santa Lucia”, ha scritto a suo padre la sera prima della finale

"Sono felice di aver raggiunto questi traguardi, ma la vera sfida è porsene sempre di nuovi e andare avanti”. Michela Moioli ha già fissato il prossimo step: provare a stare in scia di un’altra Coppa del Mondo, la terza dopo quelle del 2016 e quella dell’anno scorso. “Adesso me la voglio godere in coppa. In pista ci sono tanti avversari, arrivare in finale è già un grande risultato e fare medaglie ancora di più. Tante volte si dà tutto per scontato”. Quando non era la regina delle nevi con la tavola attaccata ai piedi, Michela era una ragazza che aveva pensato di poter essere invincibile. Succede a tutti, essere giovani qualche volta è una trappola. A diciassette anni partecipò alla sua prima Coppa del Mondo, tutti la vedevano come una predestinata, e lei si ripeteva che era soltanto questione di tempo: la gloria era lì che l’aspettava. Nel 2014 partì per Sochi, le sue prime Olimpiadi, un circo così grande e bello che niente gliel’avrebbe potuto rovinare. Invece fu in Russia che il mondo di Michela iniziò a girare, a mutare. E’ stato allora che ha smesso di dare tutto per scontato. “Qualcosa che mi spaventava c’era: farmi male, ma non ci penso più tanto spesso. Da quando mi sono rotta il ginocchio qualcosa è cambiato. Mi sono resa conto di non essere invincibile. Come dico sempre: farmi male mi ha fatto bene. Mi ha sbloccato, mi ha aiutato a maturare. Ho preso in mano la situazione, sono dimagrita otto chili. Ho lavorato molto, l’ho fatto davvero duramente. Di certo resta la consapevolezza di non essere invincibile”. Quel giorno di febbraio Michela comprese l’altra faccia della vita, la metà necessaria per godersela davvero: nella finale olimpica, mentre era a tanto così dalla vittoria, cadde, si ruppe i legamenti e sfilacciò una parte delle sue certezze.

 

E’ nata dalle ceneri di quell’infortunio la Moioli di oggi, determinata ma con garbo. “Noi donne siamo così, sappiamo come uscire da un momento complicato, abbiamo qualcosa in più, è uno scatto a livello mentale. Io i maschi li batto in allenamento”. Quattro anni dopo la caduta di Sochi, a PyeongChang, Michela andò a prendersi ciò che la vita le aveva tolto. Non erano il successo, la fama o l’oro, quelli erano soltanto traguardi. Era la pienezza, e le ha lasciato un vuoto. “Dopo la vittoria alle Olimpiadi mi sono sentita svuotata. Di energie, di voglia, di obiettivi. Non è stato facile e non lo è tuttora. L’attimo della vittoria è il culmine delle emozioni, ma mi rimarrà sempre un dolce ricordo. Ho pianto tanto prima di quella finale. E ho pianto dopo. E piango tuttora. Sono molto emotiva e fiera di esserlo. Fa bene, mi sfogo e alla fine riesco sempre a vederci più chiaro”.

 

In Corea si era portata un ukulele per riempire i silenzi. Provò a rimanere disconnessa per qualche giorno anche se, come dice lei, è nata con lo smartphone in mano. Una sera non riusciva a dormire e chiamò Matteo, il suo preparatore. Non ce la faccio, gli disse. Lui le diede un consiglio semplice: alzati dal letto e vai a vedere l’alba in Corea. Lei lo prese alla lettera, si alzò e andò fuori a cercare il principio del giorno. “E’ come tutte le altre albe. Forse anche peggio. Però mi ha fatto bene, è stato bello”. La sera prima della finale Michela si ritrovò a piangere, troppe emozioni tutte insieme erano diventate un nodo alla gola. Invece di farsi vincere dall’attesa, si concesse qualche ora di normalità, quasi per convincersi che era una sera come qualunque altra. Provò a scuotersi, lavò le lacrime sotto la doccia, si vestì con cura e portò a cena la mamma e la sorella che erano andate lì per starle vicino. Ordinò riso e pesce al vapore, come tutte le altre sere. Scrisse un messaggio al suo papà Giancarlo: “Papi, mi sento come quando ero piccola e aspettavo Santa Lucia”. Qualcosa aspettava, ma se non continuava a pensarci sarebbe stato tutto più facile. Quando tornò da campionessa olimpica ad Alzano Lombardo, casa sua, ad aspettarla c’era la gente con gli striscioni e le trombette e un bel piatto di borfadei caldo che le aveva preparato il suo papà. E ovviamente sulla tavola c’era anche un cesto con tutte quelle mele ammaccate e piene di succo, le mele antiche come le chiama lei, che Giancarlo era andato a raccogliere non lontano da casa. “Quando posso sto con il mio papà in qualsiasi situazione. Soprattutto in montagna o dove riesco a staccare la testa”.

  

E’ l’amore per le piccole cose che rende davvero grande Michela Moioli. La semplicità con cui le fa, con cui si è rialzata e con cui si pone nei confronti del mondo. “Spesso mi sento fragile. Ma non si può essere sempre perfetti. Bisogna stringere i denti ed essere pronti al momento giusto. Non è mai facile”. E’ probabile che per assecondare questo suo lato si sia imposta di ricercare l’adrenalina ogni volta che ha potuto. “E’ la droga che il tuo corpo prova tutte le volte che fai qualcosa di estremo o che va sopra le proprie capacità, ecco cos’è l’adrenalina. Gli sport li ho provati praticamente tutti. Calcio. Pallavolo, lancio del peso, del disco, nuoto, bicicletta. A sciare mi annoiavo, è stata mia madre a dirmi di provare con la tavola. Colpo di fulmine. Mi piace tutto quello che è surf. In vacanza lo faccio sulle onde, mi diverto con lo skate, e vorrei imparare anche il kite. Con la tavola da snow mi diverto. E succede sempre, succede ancora. A volte è difficile, è duro e faticoso. Però non mi pesa. La tavola è la mia migliore amica”. Le hanno insegnato a essere semplice, il suo papà le ha ripetuto spesso di essere se stessa perché “così tutti ti vorranno sempre bene”. Sullo smartphone l’ha salvata come “La mia campionessa”, ma non per le medaglie che ha vinto. Per tutto il resto. “Non smettiamo mai di cambiare, di crescere e di avere bisogni diversi. Però non ci sarà mai equilibrio tra le cose, tra lo sport e la vita. Così siamo noi a dover galleggiare tra le onde”. In quanto alla vecchia storia del mondo e dei troppi problemi inutili, non c’è pericolo che Michela si perda: lei ha i suoi trucchi.

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