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That win the best

I cori del M******* e le scarpe dei tifosi arabi

Jack O'Malley

I razzisti non sono solo nelle curve italiane. La semifinale di Coppa d’Asia e i tic di chi la racconta

Suggerisco a Michel Houellebecq di farsi un giro tra gli hooligans del Millwall, naturalmente in Inghilterra. Tra i tifosi di questo piccolo club di Championship del sud-est di Londra potrà trovare un po’ di ottimismo, anche se difficilmente saranno i loro cori a salvare l’occidente. “Shockanti” e naturalmente “razzisti”, durante la sfida di FA Cup contro l’Everton, la prima ma meno nota squadra di Liverpool, i cori degli ultras del Millwall sono stati condannati da tutti, e i loro autori sono sotto investigazione: se identificati, non potranno mai più mettere piede in uno stadio fino alla fine dei loro giorni. “Meglio essere un pachistano che uno scouse” (uno di Liverpool), il testo del coro “vergognoso” intonato durante la partita di sabato scorso vinto dalla loro squadra per 3-2. Il cortocircuito delle opinioni corrette ha raggiunto vette di surrealismo precedentemente poco esplorate, tanto che giornali e siti inglesi lo riportano con gli asterischi al posto delle lettere – I’d rather be a p*** than a scouse – come se “paki” fosse davvero una volgarità.

 

Il razzismo degli hooligans – ci sarà Salvini anche a Londra? – manda fuori di testa i commentatori che vedono nel calcio un sano strumento di educazione delle masse e adesso chiedono le famose punizioni esemplari. Non solo: riporta tremante il Liverpool Echo che durante il match si sarebbe sentito anche cantare, sempre da parte dei tifosi del Millwall all’indirizzo di quelli dell’Everton, “you’re fucking owned by a Muslim” (gli asterischi li ho tolti io). Il “muslim” è il proprietario della squadra di Liverpool, l’iraniano Farhad Moshiri, e a questo punto mi pare chiaro che quei teppisti del Millwall l’hanno fatta fuori dal vaso. Come se non bastasse, fuori dallo stadio si sono resi protagonisti di scontri violenti con i tifosi avversari, ma senza indossare i colori della loro squadra (e anche qui: è colpa del calcio, della società non abbastanza inclusiva, del razzismo o della Brexit?). Che razzismo e violenza siano da deprecare e punire è ovvio come ordinare una birra al pub – e grazie a Dio soprattutto in Inghilterra molto è stato fatto in tal senso – ma la parte interessante della storia sta nell’impossibilità da parte di molti di capire che esista qualcuno che possa pensarla nel modo più sbagliato possibile. Daspiamoli, così, non avendoli più tra i piedi, potremo illuderci di averli educati.

 

E poiché siamo tutti multiculti con i cori degli altri, il lancio di scarpe in campo da parte dei tifosi degli Emirati Arabi Uniti contro i giocatori del Qatar è stato raccontato con simpatia: “Il pubblico si scatena” è stato il titolo più crudo per raccontare l’accaduto, mentre il New York Times si affrettava a spiegarci, quasi giustificando, che “tirare scarpe è considerato un insulto nel mondo arabo” (e i cori offensivi negli stadi occidentali come sono considerati, omicidi?). Ah, sembrava suggerirci il giornalista sportivo collettivo, quei mattacchioni di tifosi arabi che tornano a casa scalzi dopo avere perso una partita, che ci vuoi fare, sono fatti così. Però i razzisti sono i tifosi del Millwall.

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