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L'Airone dal Grifone. Quando Coppi scoprì Rivera

Gino Cervi

Era il 20 dicembre 1959, tredici giorni prima della morte, quando il Campionissimo andò a Marassi per vedere Genoa-Alessandria. Un racconto

Almeno mettiti il cappello!”. La voce della Giulia, sempre con quel suo tono un po’ più alto del necessario, gli arrivò dalla sala. Fausto, con indosso un cappotto spigato e una sciarpa al collo, aveva già la mano sulla maniglia della porta. Si fermò. Pensò per un attimo che forse non era il caso uscire con quel freddo là fuori, con quel senso di spossatezza addosso. Pensò che forse aveva ragione la Giulia a dirgli di non andare, di stare a casa. Ma il solo il pensiero di darle ragione, gli fece cambiare idea. Tornò indietro di qualche passo nella grande e luminosa hall di Villa Coppi, prese dall’attaccapanni il Borsalino che non metteva mai e lo se calcò in testa. Uscì senza salutare. Poco dopo gli pneumatici della Lancia Aurelia facevano crepitare il ghiaietto del viale. Al cancello, freccia a destra, direzione Serravalle Scrivia, poi Genova.

  

Sono le prime ore del pomeriggio di domenica 20 dicembre 1959. Due giorni prima Fausto Coppi era tornato dal viaggio in Alto Volta: kermesse e safari. Si sentiva stanco. Ma aveva così poca voglia di stare a casa. Quel pomeriggio decise di andare allo stadio: sa che ci troverà degli amici.

  

Fausto guidava veloce lungo la SS35 dei Giovi. Grigia la strada, grigia la nebbia, grigia anche la Lancia Aurelia. Arquata Scrivia, Isola del Cantone, Ronco, Busalla. Al passo dei Giovi la nebbia scomparve. A Mignanego l’aria cambiò. La pianura era alle spalle, una luce diversa là, in fondo alla Val Polcevera, anticipava il mare. Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo. Fausto abbassò il riscaldamento della Lancia. Sentiva improvvisamente caldo. Fuori non c’era il sole però non faceva il freddo che si sentiva a Novi. A Marassi parcheggiò l’auto e s’incamminò a piedi verso lo stadio.

 

Dodicesima giornata del campionato calcio di serie A. Al Luigi Ferraris si giocava Genoa-Alessandria. I rossoblù erano ultimi in classifica con 4 punti; i grigi ne avevano 10 ed erano a metà classifica. La partita stava per incominciare, le squadre erano già in campo. A fatica, chissà perché, Fausto salì i gradini della tribuna. Cercò qualche volto conosciuto. In tribuna stampa, di fianco a Enrico Ameri, vide Giancarlo Zuccaro, tortonese come lui, che lavorava alla Rai di Genova. Si fecero un cenno di saluto: “Ci vediamo dopo, all’intervallo”. Coppi, intanto, l’avevano riconosciuto tutti. “Fausto, Fausto! Qui, qui…”. Si sedette tra due nomi noti: Adolfo Baloncieri, alessandrino di Castelceriolo, che con la maglia del Torino era stato grandissimo calciatore di prima della guerra – per Gianni Brera, secondo solo a Meazza e a Valentino Mazzola – e che la stagione precedente aveva allenato la Sampdoria; e Gaudenzio Bernasconi, centrocampista della Sampdoria, quella domenica infortunato.

 

La partita non era granché. Le squadre erano modeste. Il Genoa attaccava, l’Alessandria si difendeva. Coppi s’annoiava. Gli venne quasi da dormire. A fine primo tempo, raggiunse Zuccaro in tribuna stampa. Salendo i gradini inciampò nei cavi. Qualcuno lo sorresse. Ringraziò. Abbracciò Zuccaro. “Come va, Faustin!” Coppi fece una smorfia. Poi si tolse il cappello e ravviandosi con un gesto della mano i capelli domandò: “Ma chi è quel biondino dei grigi? Mi sembra proprio di un’altra pasta”. “C’hai l’occhio lungo, ne’ Fausto? Ma lo sai che è mandrogno come noi? Di Valmadonna, Alessandria. Pensa te che c’ha solo sedici anni. Dicono che è già del Milan”. “Come si chiama?” “Rivera Giovanni, ma lo chiaman Gianni”.

 

Ricominciò il secondo tempo, ma non cambiò la musica. La partita era più grigia delle maglie grigie dell’Alessandria. Se non fosse stato per quel biondino coi capelli a spazzola che sembrava essere nato con la palla tra i piedi, al punto che non la guardava mai: con testa alta la metteva sempre dove voleva.

 

Mancava meno di un quarto d’ora alla fine. Punizione per il Genoa. Tiro, palla che rimbalza sulla barriera e finisce tra i piedi del Pardo, l’uruguagio Julio César Abbadie: destro secco che batte Arbizzani, portiere dei grigi. Finisce 1-0. Il Genoa si risolleva, ma solo per una domenica. Non servirà. Non basterà neppure all’Alessandria il genio adolescente di Rivera: a fine stagione Genoa, ultimo, e Alessandria, penultima, retrocederanno in serie B.

 

A fine partita Coppi saluta gli amici. Zuccaro gli dice che il Toro, il suo Toro ha vinto e guida la classifica della serie cadetta. “Vedrai, vedrai, l’anno prossimo torniamo a giocare il derby!” dice Zuccaro.

 

Coppi sorride. Firma autografi. Torna alla macchina e riprende la strada per Novi. Ancora nebbia, e freddo. E poi, improvvisamente, caldo. Prima di entrare in casa, si ricalca il Borsalino in testa. “Fausto, sei tu? Finalmente!” dice la Giulia dalla sala.

 

“Finalmente...” sussurra Coppi.*

 


 

* Tredici giorni dopo, sabato 2 gennaio 1960, Fausto Coppi muore all’ospedale di Tortona per le nefaste conseguenze di un’infezione malarica non diagnosticata dai medici.

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