Michael Fabbri (foto LaPresse)

Serve un po' d'incoscienza per salvare l'arbitraggio italiano

Quarantino Fox

Lo stato del movimento, che resta eccellente se paragonato ad altre realtà europee come la Francia, è ben spiegato dalle nomine dei nuovi fischietti internazionali

Lo stato dell’arbitraggio italiano, che resta eccellente se paragonato ad altre realtà europee come la Francia, vedasi la prestazione di Monsieur Bastien in Olympiakos-Milan –  per non parlare del resto del mondo, America latina in testa, come dimostra la pessima direzione dell’uruguagio Andrés Cunha nella finale di ritorno di Copa Libertadores –  è ben spiegato dalle nomine dei nuovi fischietti internazionali. Escono Banti e Mazzoleni, entrano Fabbri e Mariani. In bocca al lupo e felicitazioni a entrambi.

 

C’è un però, neppure troppo piccolo. Il trentacinquenne Michael Fabbri di Ravenna e il trentasettenne Maurizio Mariani di Aprilia –  che sono bravi – hanno diretto entrambi solo una sessantina di partite in serie A. Nessun big match. Eppure sono stati proposti come fischietti alla Fifa: potranno ora arbitrare in campo internazionale. Come è possibile? La risposta è semplice e i vertici dell’Associazione italiana arbitri lo sanno da sempre, anche se pubblicamente non lo ammettono: la divisione degli arbitri tra serie A e serie B è stata un disastro. Voluta dalle Leghe nel 2010 per avere ciascuna i propri direttori di gara, ha prodotto due risultati: blocco della crescita dei fischietti (se ne promuovono due all’anno dalla B, capirai che percorso di evoluzione…) e necessità di usare sempre gli stessi per le grandi partite. Non si rischia. Dopo otto anni di divisione in compartimenti più o meno stagni, manderemo in Europa due ragazzi non proprio giovanissimi con poche gare arbitrate in serie A e nessuna classica del campionato. Un disastro che sarà ancora più evidente tra qualche stagione, quando anche i Rocchi e gli Orsato appenderanno il fischietto al chiodo. Servirebbe un po’ di coraggio in più da parte dei vertici e del designatore Rizzoli, osare anche a costo di finire per un po’ triturati sui giornali (tanto poi passa). C’è bisogno della vecchia sana incoscienza di Casarin, che – in altri tempi, è vero – catapultava sul prato di San Siro per un derby di Milano illustri sconosciuti poi divenuti grandi.

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