Il derby di Torino visto da Ugo Nespolo in esclusiva per il Foglio Sportivo

Che cosa è il derby di Torino

Piero Vietti

A loro importa poco o niente da almeno vent’anni. E nonostante questo vincono quasi sempre. Non c’è storia, tradizione, grinta o cuore che tengano. Eppure… La stracittadina della Mole raccontata da un cuore granata

Siamo onesti: a loro del derby importa poco o niente da almeno vent’anni. Ci sono partite certamente più importanti, ma anche, per ragioni evidenti, più sentite da società e tifosi bianconeri. Sempre meno torinese e sempre più globale, la Juventus affronta le due partite all’anno contro il Toro come affronta quelle contro la Lazio, la Fiorentina, la Sampdoria. Certo, non è così per tutti: i bianconeri di Torino la sentono ancora, ma più per sfottere colleghi, amici e parenti granata il giorno dopo che non per l’importanza della sfida. Nella testa del tifoso juventino contano di più le partite contro l’Inter e il Napoli, le sfide di Champions, la vendetta contro il Real Madrid. Questo ovviamente non impedisce ai bianconeri di affrontare – al netto di errori arbitrali sempre in agguato – meglio del Torino la stracittadina da almeno vent’anni. E vincerla quasi sempre. Il motivo per cui accada tutto ciò resta un mistero agli occhi dei tifosi granata, che di volta in volta danno la colpa all’arbitro, alla squadra, all’allenatore di turno, più spesso alla società. Certo non aiuta riempire giornali e social di dichiarazioni roboanti nei giorni prima del derby, con frasi perfette fino a venticinque anni fa e oggi purtroppo più vicine alla retorica che alla realtà. E la realtà è che la Juventus in Italia batte praticamente chiunque da sette anni, qualunque sia la motivazione della squadra avversaria. Non c’è storia, tradizione, grinta o cuore che tengano. Eppure.

 

Il primo derby della mia vita io l’ho visto in campo. Era il 1989, il Torino si avviava mesto alla seconda retrocessione in B della sua storia. Avevo sette anni e mezzo e giocavo – per errore, a fine anno si sarebbero accorti che ero un bluff chiedendomi di cambiare squadra – nei pulcini del Toro. Mi allenavo al vecchio Filadelfia, accanto alla prima squadra e con i vecchi che avevano visto il Grande Torino a fare il tifo per noi. Quel giorno scendiamo in campo prima della partita, facciamo il giro di campo e quando passiamo sotto alla curva monocromatica degli juventini ci volano addosso insulti e il coro “Serie B! Serie B!”. Già tifavo Toro (merito dei compagni di classe, la mia è una famiglia metà agnostica e metà bianconera), ma quel giorno ho capito definitivamente che non avrei mai potuto essere uno di loro. Il derby fu un bruttissimo 0-0, ma il colore del sangue ormai non si poteva più cambiare. La cosa curiosa è che quella non fu la mia prima partita allo stadio (allora Comunale). Tempo prima mia madre mi aveva portato a vedere un anonimo Juventus-Sampdoria, 0-0 pure quello, che non mi restò nel cuore. Ero entrato a far parte di un popolo, e non lo sapevo ancora.

 

Il derby è innanzitutto questione di supremazia cittadina, ma nel caso di quello di Torino – almeno qui – non c’è partita. La città è attraversata da luoghi e simboli che parlano della squadra granata. La collina di Superga che la domina, il Filadelfia – lo stadio che fu del Grande Torino e dove oggi si allena la prima squadra e gioca la Primavera – il cippo in ricordo di Gigi Meroni, campione ucciso da un’automobile in centro nel 1967, il bar Norman, dove nacque il Torino nel 1906. Un popolo è tale quando ha una memoria collettiva e un’esperienza comune, quando ha superato insieme una storia significativa. Un popolo ha degli eroi di carne, dei santuari e dei luoghi sacri. Torino è una città che sa di granata. I tifosi del Torino hanno un dolore comune che non si dicono se non sottovoce. Un popolo sa di appartenere a qualcosa d’altro, e ha dei luoghi dove il ritrovarsi lo dice. La Juventus è squadra globale, gioca e si allena fuori città, parla in inglese e punta ai mercati asiatici e americani. La maggioranza dei tifosi che riempie lo Stadium arriva da fuori Torino. È un modello vincente, moderno, che funziona. Ci sono bambini di 8-9 anni che non hanno mai visto la Juventus perdere, e se la tifano non possono sopportare che succeda. È la strada giusta, probabilmente, quella da seguire. Quando due tifosi granata si incontrano lontano da Torino si riconoscono non perché condividono un invidiabile record di vittorie, ma per una storia che li fa tremendamente diversi da quegli altri. Questa sera, grazie al Torino, a inizio partita scenderà in campo con CR7 un bambino siciliano ammalato di tumore e tifoso della Juventus. Il viaggio glielo ha pagato il Toro Club Sicilia Granata, mettendo all’asta una maglietta autografata di Belotti.

  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.