Foto tratta dalla pagina Facebook di Dazn

Ma che cosa diamine è Dazn? Lo sport in streaming visto da vicino

Piero Vietti

Nella redazione della piattaforma digitale, tra giornalisti giovani e un’idea contromano di raccontare calcio e dintorni. Più leggeri e senza gabbie. Funzionerà?

Quando il Superclásico sembrava soltanto questione di calcio, sport, popolo, orgoglio, rivalità, e non ancora storia di sassi, assalti al pullman, lacrimogeni e minacce di morte, in molti abbiamo guardato la partita di andata della finale di Copa Libertadores, quella tra Boca e River, su Dazn. Nel secondo tempo, però, lo streaming ha dato forfait, costringendo i più coraggiosi a ripiegare su Milan-Juventus. Passano pochi giorni e sono a Cologno Monzese, periferia produttiva e televisiva milanese, in cerca degli studi di Dazn. Voglio vedere di persona chi è questo soggetto che si è preso la fidanzata degli italiani, il calcio, all’improvviso e senza referenze (ricordate gli spot di quest’estate, con Paolo Maldini non ancora dirigente del Milan che imparava a pronunciarlo da Diletta Leotta? – “Dazooon”), chi c’è dietro a questo servizio che trasmette tre partite di serie A ogni weekend, tutta la serie B, la Liga spagnola, vari tornei europei e internazionali di calcio e un bel po’ di altri sport, promette di essere il Netflix dello sport ma che con i suoi problemi iniziali (e ormai quasi del tutto superati) di streaming ha fatto patire a molti la sindrome del fidanzato tradito. Ho un appuntamento con Marco Foroni, volto storico dello sport in tv in Italia (Sky, Mediaset, Fox) che da quest’anno è Head of Sports di Dazn. Lo incontro nel suo ufficio che s’affaccia su un grande open space pieno di ragazzi al lavoro.

 

L’età media della redazione è decisamente inferiore ai trent’anni. L’aria che si respira è quella delle start up che funzionano, con idee che circolano e qualcuno che ha voglia e capacità di provare a metterle in pratica. Foroni mi porta a vedere le undici salette per le telecronache (soprattutto il calcio estero ormai non si commenta dallo stadio, ma al caldo in studi ad hoc), poi mi presenta i giornalisti che stanno montando servizi e interviste che una volta pronti verranno caricati sulla piattaforma. Dazn non è una televisione, né un canale televisivo. Non ha un palinsesto, programmi che devono andare in onda a una certa ora e durare per forza un certo numero di minuti. Dimenticate la Rai, Mediaset, e in parte anche Sky. Pensate a Netflix, o a YouTube. Ecco.

 

Lanciata nel 2015, ha passaporto inglese e fa parte del gruppo britannico Dazn Group (ex Perform). È in Italia da agosto di quest’anno, e già in altri sei paesi: Germania, Austria, Svizzera, Canada, Giappone, Stati Uniti. Nel 2019 verrà lanciata in Spagna, con i diritti della MotoGp e della Premier League. Il fondatore e proprietario è il miliardario ucraino (cresciuto in Russia e poi trasferitosi negli Stati Uniti) Lev Blavatnik. Filantropo generoso, ha finanziato un nuovo edificio della Tate Modern Gallery di Londra, ribattezzato in suo onore Blavatnik Building. Ha investimenti in diversi campi, ma negli ultimi tempi ha iniziato a puntare soprattutto su media, intrattenimento e sport. Dazn è la sua ultima scommessa.

 

Girando tra le postazioni di Dazn si incontra Davide Bernardi, tornato da poco da Buenos Aires. Sta montando un breve reportage sul Monumental, lo stadio del River Plate dove si sarebbe dovuta giocare la finale di ritorno di Libertadores. Alla vigilia dell’andata ha raccontato la storia di tre tifosi particolari delle due squadre argentine: un impiegato diventato virale sul web per avere creato una canzone contro il River sulle note di Bella ciao, un vecchio signore che da decenni non perde una partita al Monumental e di ognuna appunta tutti i dettagli su un quaderno che si porta dietro, un ragazzo nato cieco che va allo stadio in curva accanto agli ultras a seguire il Boca. Sono servizi brevi, agili, sempre a disposizione tramite app sullo smartphone, il tablet o la tv. A parte gli eventi dal vivo, che durano quanto devono durare, la caratteristica dei prodotti video su Dazn è proprio quella di essere brevi, pensati per un consumo veloce, magari visti durante uno spostamento in metropolitana, come un video su Facebook o una story su Instagram. L’assenza di palinsesto permette alla redazione di ragionare in modo aperto, mi spiegano, provare nuove cose senza l’assillo della durata o della messa in onda. L’executive producer Emanuele Corazzi (arriva da Fox Sports anche lui come Foroni) mi racconta come funziona la riunione settimanale del martedì, quando si decide soprattutto come avvicinarsi ai tre match di serie A del weekend. Ogni idea buona è valorizzata, si spinge a sperimentare nuovi format, si evita quello che uno spettatore di suo troverebbe già su Twitter, tipo soffermarsi a lungo sulle probabili formazioni: news in breve e poi storie “laterali”. Le interviste, ad esempio. Un po’ ne ho viste nel mio viaggio fino a Milano, in treno, altre me le fa vedere Marco Foroni. Dimenticate le conferenze stampa in cui allenatori e giocatori puntano al record dell’ora di luoghi comuni, su Dazn si trovano lezioni di tattica dell’allenatore del Parma Roberto D’Aversa, Gasperini che scambia Benji e Fede con Holly e Benji, il “sindaco” Borja Valero che nomina gli “assessori” dello spogliatoio dell’Inter, un giocatore del Padova alle prese con la preparazione di uno spritz; ma anche storie come quella di Ian McKinley, rugbista cieco da un occhio della Nazionale italiana, o l’intervista a casa del campione di boxe Fabio Turchi. Anche le interviste dopo le partite, nel programma “Diletta gol” condotto da Diletta Leotta, brand ambassador di Dazn, con Mauro Camoranesi, durano meno del solito e tendono a essere leggere. Un azzardo, nel paese in cui il calcio è affrontato come una guerra ed è considerato da tutti affare serissimo. Mettersi a inseguire chi certe cose le fa già da anni sarebbe suicida. E poi Dazn non è una tv, tanto vale provare a fare qualcosa di diverso. Eventi live a parte, l’obiettivo sembra essere quello di conquistare il “tempo della metro” (o del bagno), fare in modo che un appassionato di sport non vada su YouTube a cercare i gol più belli di Atletico Madrid-Barcellona, ma apra l’app di Dazn. Non è un segreto che la tv generalista sia in crisi da tempo, e che soprattutto le generazioni più giovani siano ormai abituate a usufruire tutto on demand. Non si aspetta più l’inizio del proprio programma preferito, lo si cerca e guarda subito, a qualunque ora e su qualunque dispositivo. Da qui la necessità di inventare prodotti che “reggano” nel tempo, non brucino nell’istante della notizia ma siano cliccabili anche a giorni di distanza. La cosa divertente delle interviste che si trovano su Dazn è che cercano di sfondare il già visto e il già saputo, giocano con i luoghi comuni ribaltandoli. Questo si vede in tutto, dalle domande del giornalista alle inquadrature, fino al montaggio, con un utilizzo intelligente di backstage e scene che di solito vengono tagliate. Quando Diletta Leotta è andata a intervistare Carlo Ancelotti, si sono messi nella sala delle conferenze stampa. La conduttrice ha chiesto all’allenatore del Napoli se di solito in quella stanza si dicono bugie. “Sì”, ha risposto Carletto. Da qui il gioco: Diletta fa una domanda, Ancelotti deve rispondere prima come risponderebbe in conferenza stampa e poi dicendo quello che pensa davvero: l’effetto è divertente, e funziona. La squadra di Dazn è in crescita, man mano aumentano gli eventi e gli sport trasmessi (l’ultima novità è la Champions di volley, ma poi ci sono un sacco di sport americani, il rugby, combattimento, rally e freccette – che non avrei mai pensato fossero così appassionanti). Entro il 2020 Blavatnik punta a essere in venti paesi del mondo, nel frattempo almeno in Italia si combatte con qualche problema tecnico sapendo che il tempo è galantuomo: le nuove generazioni che guardano lo sport già seguono film e serie tv su piattaforme simili a Dazn, basta abituarsi e il gioco è fatto.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.