Il norvegese Magnus Carlsen (a sinistra) e Fabiano Caruana (foto LaPresse)

Che senso ha giocare a scacchi nell'èra degli algoritmi?

Massimo Adinolfi

La sfida mondiale tra Carlsen e Caruana prosegue dopo aver pattato per undici partite consecutive. Perché non la fanno finita?

Dopo la nona partita terminata in parità Sergio Mariotti è sbottato: “Mi chiedo che tipo di match sia mai questo”. Lo si può capire: ai bei tempi Mariotti era soprannominato “The italian fury”, mentre l’italo-americano di cui commenta le partite non ha proprio l’aspetto, né il gioco, di uno scalmanato. Però il lettore ha diritto di sapere innanzitutto chi sia Mariotti e di quale match si parli. Cominciamo dal match. Si tratta della sfida, attualmente in corso, per il titolo di campione mondiale di scacchi fra il detentore, il norvegese Magnus Carlsen, e Fabiano Caruana - figlio di Santina, di Francavilla sul Sinni, provincia di Potenza - doppio passaporto ma nato e vissuto negli States (anche se per qualche anno ha difeso i colori azzurri). Mariotti è invece il primo italiano nella storia che si sia fregiato del titolo di Grande Maestro, la massima categoria nel mondo delle 64 caselle, nell’ormai lontano 1974. L’altro giorno, dopo che Carlsen e Caruana hanno stabilito il record di partite consecutive finite con la divisione della posta all’inizio di un match per il titolo mondiale, nove di fila, Mariotti ha perso un po’ la pazienza: ma a che gioco stanno giocando, questi? 

 

È una buona domanda: a che gioco giocano gli scacchisti, nell’èra dei superprogrammatori, quando ormai sono venti e più anni che il computer ha superato l’uomo? Perché si danno pena di stare ore e ore davanti ad una scacchiera? Perché non la fanno finita? Se poi si è in vena di filosofeggiare, ci si può anche domandare a che gioco giocano gli uomini, in generale. Di cosa si danno pena, e perché non la fanno finita pure loro con le mille preoccupazioni umane troppo umane che li affliggono quotidianamente, quando è evidente ormai che le macchine fanno tutto meglio, giocano meglio a scacchi ma sono più brave anche a pilotare un aereo o a stilare una diagnosi? “Non c’è dubbio che gli algoritmi siano più saggi e più bravi di noi, quando si tratta di prendere una decisione”. Se lo dice Daniel Kahneman (su “La Stampa”), che la scienza delle decisioni l’ha rivoluzionata, c’è da credergli: “Quando fornisci gli stessi dati a un algoritmo e a un essere umano, nel 50 per cento dei casi l’algoritmo dà la risposta giusta, negli altri c’è il pareggio, e in rarissime occasioni l’essere umano prevale”. A scacchi, c’è poco da fare, non prevale. Il fatto che la vita non si giochi su una scacchiera lascia ancora qualche margine all’uomo. Ma, come mostra Kahneman, un margine molto piccolo.

 

Però quei due continuano a giocare. A disputarsi la corona mondiale. Dopo la nona è arrivata la decima patta, quindi l'undicesima: la striscia si allunga, e alla fine del match manca un incontro (che si sta giocando in queste ore ndr), dopodiché si andrà allo spareggio (partite a tempo breve). Se poi siete norvegesi, allora aggiungerete stranezza a stranezza. Perché quei due giocano, e voi rimanete per ore incollati davanti alla tv, per vedere il match in diretta: i commentatori in un riquadro e le telecamere sui volti dei campioni, a volte impassibili, altre volte invece preoccupati o contrariati. E ogni tanto un breve movimento del braccio. Una mossa: nient’altro. Pura arte concettuale. Carlsen partiva da favorito, l’andamento del match ha forse minato qualche sua certezza. Caruana sfoggia una preparazione casalinga sulle aperture a dir poco granitica. Durante la nona partita ha difeso con grande precisione; durante la decima ha attaccato con grande coraggio. Gianni Brera diceva che lo 0-0 è il risultato perfetto in una partita di calcio. Lo stesso si può dire di una patta a scacchi. Perfino l’irruente Mariotti ha dovuto ricredersi: la decima è stata battaglia vera. Una Siciliana variante Svesnikov: posizioni sbilanciate, attacchi sull’ala di Donna e controgioco sull’ala di Re, un finale complesso e incertezza fino all’ultimo sul risultato.

 

Ma perché seguirne le mosse, se da qualche parte, nei circuiti di qualche cervellone il risultato è già scritto? Per lo stesso motivo per cui vediamo un giallo del tenente Colombo, in cui si sa già il colpevole e si vuole capire come diavolo farà Colombo ad arrivarci. E perché gli uomini non rinunciano a misurarsi: gli uni contro gli altri, nello sport più violento che esista (Kasparov), in cui la tensione e la forza si esprimono nella forma più controllata e, perciò, più intensa, più bella possibile. (Se infine non siete norvegesi, ma italiani, tifiate o no per Caruana sappiate che il 23 novembre è cominciato il campionato italiano assoluto, a Salerno. Si può seguire in diretta in rete, e c’è massima incertezza su chi lo vincerà). 

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