Foto LaPresse

Un premio dato dai francesi non può essere serio

Jack O'Malley

Peggio del Pallone d’Oro non assegnato a Griezmann c’è solo la Super Champions League

Lo ammetto, ero tra quelli che si erano illusi che sottrarre il Pallone d’Oro alla Fifa e restituirlo a France Football avrebbe ridato dignità a un premio diventato ormai più noioso di una puntata di “House of Cards”. Basta show pagliacceschi in diretta televisiva, manfrine con balletti, musiche, dichiarazioni politicamente corrette, riconoscimenti dati a chiunque, pure al miglior magazziniere dell’anno (del Real Madrid, naturalmente). Basta Cristiano Ronaldo-Messi, che va bene, sono i più forti del mondo e tutto il resto, ma insomma un Pallone d’Oro anche a qualcun altro nell’ultimo decennio lo si poteva anche dare. Gli show pagliacceschi non ci sono più, e questo è un bene. Lo scorso anno ha vinto di nuovo Cristiano Ronaldo, e dopo la stagione che aveva fatto ci poteva anche stare. Ma stupido io a pensare che un premio dato da dei francesi potesse davvero essere serio fino in fondo.

 

Non sono una verginella scandalizzata dai giochetti politici delle nomination per la terna finale dei nomi che, secondo l’Equipe, si giocheranno (per finta) il Pallone d’Oro il 3 dicembre; ho visto tali e tante porcate in questi anni che nulla più mi turba. Ma la logica secondo la quale il premio non sia già stato portato a mano in processione sotto casa di Antoine Griezmann con tanto di scuse per il ritardo, mi sfugge. Decisivo nel suo club, decisivo in Nazionale per la vittoria del Mondiale, il francese “sbagliato” dovrà con molta probabilità assistere alla vittoria di Mbappé, compagno di squadra nella Francia glorificata in Russia, ma vincitore di un campionato francese soltanto, l’equivalente della tombola natalizia a casa dei parenti rompipalle. Mbappé però “funziona” di più, è giovane, è un personaggio amato da molti, è certamente fortissimo e quasi sicuramente prima o poi giocherà nel Real Madrid. Con Messi e Cristiano Ronaldo considerati ormai i Federer e Nadal del calcio, si deve preparare il terreno a un altro decennio in cui celebrare un nuovo fenomeno e l’attaccante del Paris Saint-Germain ha tutte le curve giuste per piacere più del tappetto dell’Atletico Madrid.

 

Non c’è solo l’assegnazione del Pallone d’Oro a inquietarmi come una mosca nel boccale della mia birra, ma anche le nuove deliranti prospettive nate dall’accordo tra Agnelli e Ceferin: morte dei campionati nazionali, ridotti a tornei parrocchiali infrasettimanali, tre competizioni europee e una terrificante Super Champions League con più squadre e partite giocate nei weekend (“Che fai sabato?”. “Vado a Madrid a vedere la Juve. Tu?”. “Io al pomeriggio faccio un salto a Manchester a vedere l’Inter”. Comodo, no?). Non è la Super Lega che avrebbe voluto il presidente della Juventus ma poco ci manca: un torneo in cui le piccole sono pregate di non disturbare, le grandi possono lucidarsi gli attributi davanti a tutto il mondo, vendere più magliette in Cina, fare tournée negli Stati Uniti regalando perle ai porci, spartirsi le coppe in un circolo sempre più esclusivo e fare la gara a chi ce l’ha più lungo, il record di vittorie consecutive. Tutto comprensibile, per carità. Ma quando poi leggo che tutto questo si farebbe perché – parole di Ceferin, il presidente dell’Uefa – “se l’Europa ha un problema di ‘unità’ in questo momento il calcio è uno dei principali poteri che può aiutare a tenerla unita”, mi sale una voglia di sovranismo che manco Salvini nei suoi sogni più sfrenati. Non fatemi morire nostalgico del calcio di una volta come un editorialista sportivo italiano qualunque, vi prego. Piuttosto portatemi un’altra pinta, please.

Jack O’Malley