Francesco Molinari (foto LaPresse)

Molinari, il golf, la Ryder Cup. La costruzione di un campione

Piero Vietti

Così si diventa il più forte golfista italiano. Alla vigilia della competizione tra i migliori atleti americani ed europei il campione di Torino si racconta

Giugno 2006. Dalle parti di New York si gioca la centoseiesima edizione dello US Open di golf, uno dei quattro tornei più importanti al mondo. Tiger Woods, il più grande di tutti, lo ha già vinto due volte. Quell’anno gareggia per la prima volta anche un giovane italiano, Edoardo Molinari. Ha 25 anni, nel 2005 è stato il primo europeo a vincere il campionato US Amateur. I giocatori di golf sono accompagnati sempre da un caddie, che porta la sacca, dà consigli, rassicura, sorregge. Edoardo ha chiesto a suo fratello Francesco, detto Chicco, 23 anni, golfista anche lui, di accompagnarlo. Era un patto che avevano stretto da bambini. Il primo che va a giocare un master si porta dietro l’altro come caddie. C’è una foto, di quei giorni, in cui si vedono Francesco, Edoardo, Woods e il suo caddie che guardano il percorso, a metà di una buca. Mentre stringeva la mano a Edoardo prima di giocare, Tiger non poteva certamente immaginare quello che sarebbe successo dodici anni dopo.

 

Luglio 2018. A Carnoustie, in Scozia, Woods gioca l’ultimo giro contro Francesco, l’ex caddie di Edoardo. Molinari non solo batte Woods, ma diventa il primo italiano a vincere un torneo major di golf, il British Open, scrivendo così un pezzo di storia dello sport italiano. La vittoria che ha portato Francesco a diventare il più forte golfista italiano di tutti i tempi – e quinto in classifica al mondo, adesso – non è solo una bella storia, ma anche il racconto – che Chicco Molinari ha fatto al Foglio Sportivo – di come si costruisce un campione, oltre al talento, oltre all’istinto.

 

Lo intercetto al telefono poco dopo il suo check-in all’aeroporto. Sta partendo per gli Stati Uniti, ad Atlanta in questi giorni c’è il Tour Championship, “una gara importante”, spiega. Domani inizia la Ryder Cup, probabilmente il torneo più affascinante del golf, la sfida ogni due anni tra la squadra americana e quella europea. Una gara strana, perché si gioca a squadre, mentre il golf è uno sport individuale, solitario, io contro me stesso. Come il tennis, ma più del tennis, perché sul campo da golf spesso non hai il tuo diretto avversario davanti, magari è nel team dietro, lui vede i tuoi spostamenti ma tu non vedi i suoi, senti solo gli applausi, nel caso. Alla Ryder invece è tutto squadra, “l’atmosfera è diversa – dice Molinari, che con la squadra europea l’ha già giocata e vinta due volte, nel 2010 e nel 2012 – C’è la tradizione di un torneo antico, certo, ma il fatto di giocare in squadra rende il tutto più affascinante”. Con gli altri giocatori ci si conosce da anni, “ma di solito non abbiamo la possibilità di condividere lo spogliatoio e le emozioni del pre gara. Il golf è uno sport individualista, sapere di non poter giocare soltanto per te stesso dà un senso di responsabilità maggiore”.

 

Come ci si prepara a giocare una gara così diversa? Come si fa a fare gruppo prima di volare a Parigi la prossima settimana? “Da inizio anno il capitano (il danese Thomas Bjorn, ndr) si tiene in contatto con quelli che potrebbero essere convocati – spiega Molinari – Con lui si parla di strategie e possibili accoppiamenti, ci dà consigli”. Ai tornei poi si incontrano da avversari i futuri compagni di squadra. “Anche lì ci parliamo, condividiamo le sensazioni”. C’è anche un gruppo Whatsapp, ammette sorridendo Molinari, con tutti i componenti della squadra. E’ partito un mese fa. Ingenuamente gli chiedo se serve per suggerirsi strategie di gioco. “Per ora nessuna strategia, diciamo che è un gruppo molto goliardico”.

 

Freddo, apparentemente impassibile, Chicco arriva alla sua terza Ryder Cup come uno dei più forti in squadra. Inevitabile che possa sentire maggiore pressione. “Arrivo diverso, sì, ma non cambia molto rispetto al passato”, dice. “Ci sono più aspettative nei miei confronti, ma io arrivo con più sicurezza in me stesso, più esperienza. Ho un ruolo diverso rispetto alle altre volte, sono quasi un veterano, posso dare consigli, aiutare i più giovani”. Anche chi non ha mai giocato a golf né visto una gara in tv ha sentito parlare di Molinari quest’anno, però. “L’attenzione dei non addetti ai lavori mi fa piacere, certo, ma non sento la pressione. Capisco che ho fatto un altro passo in avanti, e sono contento. Spero di arrivare in ottime condizioni e giocare il più possibile”. Chi ha mai provato a impugnare un ferro o un legno per colpire una pallina da golf sa quanto la testa sia fondamentale per praticare questo sport. Guardando giocare Molinari è lampante. Mentre a Carnoustie aspettava di sapere se avesse vinto l’Open, Chicco è andato sul green a fare pratica. Da solo. “Non riuscivo a stare davanti alla tv a seguire gli ultimi colpi del mio avversario, tanto non potevo influenzare cosa succedeva. Dovevo distrarmi e fare altro. E’ stato un momento non facile – confessa – avevo tantissima tensione addosso”. Era a un passo dalla storia, dall’obiettivo che puntava da quando era bambino. “Avevo paura che non si avverasse”. Quando ha capito di avere vinto non ha provato subito gioia, però. “Innanzitutto sollievo”, dice. “Prima c’era la paura”.

 

Chicco Molinari non ha il fisico del campione perfetto, né il genio degli sregolati che finiscono tra le curiosità dei rotocalchi. La sua è una freddezza che non respinge, ma anzi attira e fa simpatia. Sembra il vicino di casa gentile che non vuole disturbare. Perfetto nel suo essere garbatamente piemontese, Chicco è considerato il bravo ragazzo del circuito golfistico. Una definizione che non lo turba: “In parte è vero, in parte no. Non bado alle etichette che ci vengono date. Certamente sono uno tranquillo, non estroverso”. Non in pubblico, almeno. “Lo sono di più con le persone che conosco e con cui divido il lavoro e la vita”. In questi anni Molinari non si è costruito un personaggio buono per i media. “Non mi interessa l’attenzione degli altri, non sono uno che vuole piacere a tutti i costi. Il golf è un lavoro che voglio fare bene, mi interessa soltanto quello che pensa chi ho intorno”. Viene difficile immaginarselo mentre impreca dopo un putt sbagliato, o mentre batte per terra il drive perché quel giorno proprio non riesce a tenere la palla in fairway. “Invece ho avuto un sacco di scatti d’ira giocando – dice – Sono uno competitivo al massimo”. Si è visto negli ultimi mesi. Il 2018 è stato l’anno che lo ha portato a essere uno dei migliori al mondo, e il migliore di sempre in Italia. Non è successo per caso. “Un po’ me lo aspettavo – dice sicuro – Anche se certi risultati hanno superato le aspettative”. Dopo il quadriennio d’oro 2009-2012, durante il quale ha vinto il Mondiale in coppia con il fratello Edoardo, due Ryder, l’Hsbc Championship e l’Open di Spagna, Chicco era tornato normale. “Nel golf i margini sono strettissimi – spiega – basta poco per andare indietro”. Nel 2016, dieci anni dopo la prima volta, Chicco vince l’Open d’Italia. E’ solo l’inizio di una stagione nuova della sua carriera, racconta: “Due-tre anni fa, con il mio team ci siamo messi a tavolino e abbiamo iniziato ad analizzare i miei punti deboli e quelli di forza. Abbiamo ragionato sul lungo termine, migliorando nei dettagli per fare la differenza”. Chicco è cambiato mentalmente, tecnicamente e fisicamente. Ha scelto di lavorare con gente che ha “la mentalità giusta”, uguale a lui. “Passiamo molto tempo insieme, dobbiamo prendere molte decisioni importanti: condividiamo tutto, abbiamo la stessa ambizione, la stessa voglia di spingerci oltre. Ci carichiamo a vicenda”. Sembra che nulla possa turbarlo, quando analizza la sua stagione dà l’impressione di avere tutto sotto controllo. “Ho avuto un inizio normale – spiega – poi ho acquisito più sicurezza”. Le vittorie sono una conseguenza.

 

Il golfista italiano che prima di Molinari era conosciuto anche fuori dalla cerchia degli appassionati è Costantino Rocca. Cinque vittorie in altrettanti tornei dello European Tour (Francesco ora è a sei), Rocca è uno dei pochi golfisti ad avere centrato la buca in un colpo solo in tornei di livello internazionale (nel 1995, durante la Ryder Cup). Vent’anni dopo ci è riuscito anche Chicco, al Waste Management Phoenix Open. Cercate il video su YouTube, dice molto di lui: quando vede la pallina rotolare in buca esulta platealmente, aizza il pubblico con le braccia alzate, dà il cinque a chiunque gli capiti a tiro. Non ha festeggiato così neppure dopo il Mondiale del 2009, o la vittoria all’Open in Scozia. Al massimo sorride, agita il pugno. Come se se lo aspettasse. Adesso tanti dicono che Molinari è il testimonial perfetto per far avvicinare al golf gli italiani. Lui scherza: “Mi fa piacere se il mio successo viene usato in questo senso, ma io posso solo continuare a fare bene le cose che faccio”. Nessun testimonial. “Cercare di essere qualcosa che non sono non aiuterebbe”. Per gli sport “minori” è difficile crescere in Italia. “Certo è difficile per uno sport che non sia il calcio crescere in Italia. E’ quasi impossibile distogliere l’attenzione degli sportivi dal calcio o dalla Formula 1”, dice. “Io ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia appassionata al golf, è un bene se chi si occupa di promuovere questo sport mi sfrutta”. Nato e cresciuto a Torino, Chicco vive da anni a Londra, con la moglie e due figli. Non si può parlare di lui senza parlare della sua famiglia, un luogo fisico fatto di affetti e rapporti che lo hanno aiutato e aiutano. “Prima i miei genitori – racconta – poi mio fratello Edoardo hanno avuto un ruolo fondamentale. Se sono come sono lo devo molto anche a loro. Con Dodo è stato importante condividere la passione e spronarci a non mollare. Avere una famiglia oggi mi aiuta a vivere, a staccare, a spegnere l’interruttore del golf quando non sono in giro per il mondo. Mia moglie Valentina non gioca né è appassionata. E meno male: mi aiuta a mettere nella giusta prospettiva vittorie e sconfitte sul campo”. Nel 2012 Chicco non andò alle Olimpiadi di Rio per aiutare la famiglia: suo figlio Tommaso era stato male e lui non voleva rischiare. “Tra il golf e la famiglia non ho dubbi, prima la famiglia”. Il volo per Atlanta è in partenza, resta il tempo di far notare una strana incongruenza: lui, che deve molte delle sue vittorie alla capacità di sapere usare la testa con freddezza, tifa una delle squadre di calcio più pazze al mondo, l’Inter. Ride, e alla domanda se abbia un consiglio da dare ai nerazzurri dice: “Mi piacerebbe, ma non mi ascolterebbero. Vorrei ci fosse più sangue freddo, meno decisioni prese di pancia”. Più facile che il golf diventi sport nazionale italiano, forse. Eppure tra le sue vittorie e la Ryder Cup del 2022 a Roma qualcosa potrebbe cambiare. “Sì”, sorride, “noi italiani in generale siamo sportivi quando un italiano vince”.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.