L'attaccante brasiliano Willian dopo la sconfitta ai quarti di finale della Coppa del Mondo 2018 tra Brasile e Belgio (foto LaPresse)

Perché non c'è nessuna sudamericana in semifinale ai Mondiali? (C'entra anche la politica)

Maurizio Stefanini

È dalla vittoria del Brasile nel 2002 che una squadra dell'America latina non arriva prima. Un digiuno di vittorie che coincide con l'inizio del ciclo populista. Parla Sergio Berensztein, politologo ed ex-calciatore

Roma. “C'è una crisi del calcio latino-americano? Sì. Dipende dalla politica populista? Senza fare troppo determinismo, anche”. Così ci commenta l'eliminazione di Brasile e Uruguay ai quarti dei Mondiali in Russia Sergio Berensztein: uno dei più noti politologi argentini, ed anche un ex-calciatore. “Il talento non era pari alla passione”, ci confessa. Però la doppia competenza acquisita gli serve per presentare una popolarissima trasmissione radiofonica che si occupa appunto di calcio e politica in contemporanea: Politica y pelotas, “politica e palloni”.

    

Partiamo dalle statistiche: è dalla vittoria del Brasile nel 2002 che una squadra latino-americana non arriva più prima. Quattro edizioni di digiuno, quando nei 72 anni precedenti mai la regione era rimasta senza vittoria per più di due volte di fila. Anzi: dopo la vittoria dell'Uruguay nel 1930 e la doppietta italiana del 1934 e 1938 la regola era stata che una vittoria latino-americana e una europea si erano alternate con regolarità: semmai, con l'eccezione della doppietta brasiliana di 1958 e 1962. “Non è un caso”, ci spiega Berensztein. “È un problema di infrastrutture. Il calcio europeo ormai si è fatto molto più professionale, e i club si sono organizzati in modo molto migliore in termini di preparazione dei giocatori, di formazione fisica, di alimentazione. I club dell'America Latina non hanno risorse comparabili. E poi a partire dal Mondiale in Francia si vede anche un'altra cosa: le Nazionali europee hanno sempre più schierato immigrati e figli di immigrati che hanno apportato un talento innato, ulteriormente migliorato da una formazione professionale e rigorosa. Così la Francia è riuscita infine a vincere un Mondiale, ma anche la Germania vincitrice della scorsa Coppa del Mondo aveva molti calciatori con questo profilo. E vediamo pure il modo in cui i migranti hanno aumentato la competitività della Svizzera. Un complesso di fattori ambientali, finanziari, organizzativi e demografici che hanno creato ai danni dell'America Latina un divario ormai difficilmente colmabile”.

    

Però l'America Latina ha ancora molti talenti che vengono appunto valorizzati in squadre europee e poi tornano a giocare nelle Nazionali dei loro paesi di origine. Come mai Brasile, Argentina e Uruguay non riescono ad approfittarne? “Perché chi gioca in campionati stranieri in altri continenti ha pochissime occasioni per conoscersi con i propri compagni. Ciò danneggia l'amalgama”.

     

Berensztein tiene però a non fare di tutta l'erba un fascio. “Attenzione. Nel problema generale bisogna distinguere l'Uruguay e il Brasile dall'Argentina. Dopo il disastro del Mondiale scorso il Brasile ha armato una grande squadra, si è qualificato comodamente, ed ha giocato bene. Lo ha eliminato il Belgio, ma il Belgio ha una grande squadra, e i gialloverdi sono usciti con onore. Lo stesso possiamo dire dell'Uruguay, che ha anche un tecnico molto serio. È stato superato da una grande squadra come la Francia, ma ha lasciato una buona immagine. L'Argentina invece è un disastro. Tre tecnici negli ultimi tre anni, otto tecnici negli ultimi dieci anni, una crisi istituzionale profonda, una forte e deleteria influenza della politica. A ciò si è aggiunta la personalità troppo forte di giocatori come Messi, Mascherano o Di Maria, la cui camarilla rende molto difficile ai tecnici lavorare”.

   

2002: il digiuno di vittorie dell'America Latina coincide quasi al millimetro con l'inizio del ciclo populista in politica. È un caso? “Il calcio europeo in realtà è sempre stato meglio organizzato del calcio latinoamericano. Però prima il talento compensava la mancanza di organizzazione. Adesso con i livelli di professionalizzazione del calcio europeo un Maradona non basta più. Certo, c'è qualcuno che lavora meglio. I tecnici di Colombia e Messico hanno ottenuto risultati buoni. La vittoria del Messico sulla Germania resterà alla Storia. Ma in generale il calcio latino-americano ha perso l'appuntamento con la modernizzazione, come l'hanno d'altronde perso la politica e l'economia. La regione ha perso l'occasione del miglior ciclo internazionale dei prodotti di esportazione. Ci sono stati purtroppo governi di sinistra populista che non avevano una vocazione di modernizzazione e istituzionalizzazione, ma solo di migliorare nel corto periodo le entrate dei loro elettori”.

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