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Portiere non aver paura di parare un calcio di rigore

Daniele Pirozzi

Breve guida per diventare dei para-rigori. Ecco come la scienza può aiutare gli estremi difensori dei Mondiali a comportarsi quando si troveranno a giocarsi il passaggio del turno dagli undici metri

Parare un calcio di rigore è una questione di spazio e tempo. Bisogna scegliere la direzione giusta – in gergo si dice battezzare l’angolo – capire a quale altezza arriverà il pallone e calcolare il momento esatto in cui raggiungerlo in tuffo. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Secondo le statistiche un portiere para un rigore solo nel 18 per cento dei casi, contro il 74 per cento di possibilità di segnare per chi tira. Una volta calciato, il pallone impiega meno di mezzo secondo per raggiungere la porta, mentre il portiere ha bisogno di almeno 600 millisecondi per tuffarsi e poco più di un secondo per raggiungere l’angolo alto, il cosiddetto sette. In pratica, se il rigore è potente e ben angolato, qualsiasi portiere ha ben poche chance di riuscire a pararlo. Ecco spiegato il nome penalty. Ma numeri uno di tutto il mondo non disperate. Anche se siete in una situazione di svantaggio oggettivo ci sono alcune strategie e trucchi che potrebbero tornare utili.

 

Può infatti sembrare che per la loro imprevedibilità i tiri dal dischetto non rispondano ad alcuna statistica, ma non è del tutto vero. Per prima cosa bisogna non cadere nell’action bias, ovvero la tendenza ad agire anche quando questo si riveli la soluzione più svantaggiosa: diversamente da quanto siamo portati a credere, si hanno più chance di intercettare il pallone rimanendo al centro della porta anziché tuffandosi di lato. A questa conclusione sono giunti alcuni ricercatori che, analizzando 286 calci di rigore eseguiti nei migliori campionati del mondo, hanno scoperto che il 29 per cento è diretto al centro della porta. Eppure i portieri restano fermi solo sei volte su cento (guardate il video qui sotto se non ci credete) e il motivo sembra essere di carattere psicologico: rimanere fermi di fronte a un penalty andato a segno comporta un senso di colpa superiore rispetto ad essersi tuffati, seppur invano.

 

  

Un altro aspetto da considerare è la capacità del portiere di influenzare la direzione e l’accuratezza del tiro. Uno studio ha dimostrato che posizionandosi leggermente decentrato verso destra o verso sinistra, l’estremo difensore può influenzare la scelta della metà dello specchio della porta nella quale verrà calciato il rigore. I risultati sembrano indicare che i rigoristi, pur non essendo consapevoli di ciò, mirerebbero proprio nella porzione di porta più sguarnita, concedendo maggiori possibilità all’avversario di raggiungere il pallone. Questo perché l’informazione visiva “calcia a destra perché c’è più spazio” arriverebbe al cervello del giocatore ma non alla sua consapevolezza.

 

E se ancora non bastasse, è possibile sfruttare una delle più famose illusioni ottiche, quella di Müller-Lyer, costituita da due linee parallele che terminano in frecce che puntano in direzioni opposte. Sebbene le due rette siano di uguale lunghezza percepiamo come più lunga quella le cui estremità tendono verso l’esterno. Trasferendo questa illusione nel rettangolo di gioco, i ricercatori van der Kamp e Masters hanno scoperto che un portiere che si posiziona con le braccia verso l’alto viene percepito come più alto di 6-9 centimetri. Questo ha due conseguenze per chi calcia: una maggiore pressione psicologica data dalla convinzione di trovarsi di fronte a un avversario dalla statura più elevata e dunque in grado di occupare un’area maggiore; la tentazione di angolare il tiro, aumentando il rischio di errore.

 

A ciò si aggiunge che i giocatori che soffrono la pressione del tiro dal dischetto guardano l’estremo difensore più a lungo, esponendosi a maggiori distrazioni. Un portiere in movimento (ad es. agitando le braccia su e giù) rispetto a un portiere statico attira di più l’attenzione durante la fase di preparazione e porta l’avversario a calciare in modo più centrale (circa 32 cm di differenza) e a segnare in meno occasioni.

 

E per concludere, una tattica complessa ma che potrebbe dare ottimi risultati, si basa sulla capacità di capire quale tipo di rigorista si ha di fronte. Sembra infatti che la maggioranza di chi calcia dagli undici metri si affidi a due possibili strategie. Nella prima, detta keeper-independent, decide, prima ancora di iniziare la rincorsa, dove calciare il pallone e non si lascia influenzare dalla posizione e dai movimenti del portiere. Nella strategia keeper-dependent, invece, monitora fino all’ultimo le reazioni del suo avversario, adattando il tiro di conseguenza. Mentre la prima condizione consentirebbe un’esecuzione più precisa perché tutta l’attenzione del rigorista è sul pallone, in quella dipendente dal portiere, la palla viene calciata in modo meno angolato e preciso poiché l’attenzione è riversata su quest’ultimo. Ma come distinguere le due strategie? Dal fatto che nella strategia dipendente, il calciatore, oltre a fissare più a lungo l’estremo difensore rispetto al pallone, tende a rallentare la rincorsa e a usare passi più corti. Ne è un esempio Mario Balotelli. In questo caso può essere utile aspettare fino all’ultimo prima di tuffarsi. Se invece il giocatore ignora il portiere e ha una rincorsa più fluida è probabile che sappia già dove calciare e il consiglio degli scienziati è quello di tuffarsi in leggero anticipo (o di rimanere fermi).

 

Al di là di strategie e statistiche, parare un calcio di rigore resta il sogno (spesso proibito) di ogni portiere, soprattutto durante la finale dei Mondiali. Ma non per Matt Meese in arte Scott Sterling. Per lui i calci di rigore sono significati giocare la peggior miglior partita di sempre. Difficile dargli torto.

 

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