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facce da mondiali

Timo Werner e difficoltà di "uccidere" il proprio idolo

Giovanni Battistuzzi

L'attaccante della Germania aveva un sogno, la Nazionale, e un obbiettivo, giocare con il proprio idolo, Mario Gomez. A questo Mondiale sono loro a giocarsi un posto nell'attacco tedesco

Una stanza come ce ne sono tante in una casa come ce ne sono tante a Stoccarda. Secondo piano, il letto attaccato al muro e lì attaccati foto, poster, manifesti. L'adolescenza d'altra parte è questo: esposizione di quello che si inizia a credere e amare per cercare di farlo sembrare più solido, meno destinato a disgregarsi. Era il 2008 e per un ragazzino di dodici anni Stoccarda aveva un solo nome, VfB, la squadra della città, e il VfB un solo volto: Mario Gomez. Era lui quello più bravo, quello che segnava, quello che aveva reso possibile il sogno più grande, il titolo nazionale, quella Bundesliga, la quinta, che mancava da quindici anni in città. Aveva trascinato la squadra all'inizio, tredici gol e il primato alla dodicesima giornata. Poi il duello con lo Schalke 04, i blu avanti e lo Stoccarda sempre lì, attaccati alle segnature di Gomez, prima, alle magie del brasiliano Cacau, poi. Perché la gamba aveva tradito il centravanti, stagione finita, dicevano. Poi il dietrofront, il recupero insperato, il ritorno con il Bochum alla penultima giornata. Trentasette minuti buoni per tastare il campo, spronare i compagni a crederci. Lo Stoccarda era sotto per 2-1, il campionato sembrava perduto. Otto minuti dopo un zampata e il pareggio, la curva diventa un tamburo. Che urla, che grida, che spinge. Che diventa muta per un attimo, quando il colpo di testa di Mario colpisce il palo. Che impazzisce due minuti dopo quando Cacau invece gonfia la rete. Vittoria, sorpasso, novanta minuti ancora e sarà scudetto.

 

 

Timo Werner allora era un ragazzino delle giovanili del VfB, uno dei tanti che scesero nelle piazze di Stoccarda a festeggiare. Uno che su quella stanza come ce ne erano tante in una casa come ce ne erano tante aveva il poster e la maglia di Mario Gomez affissi al muro.

 

Cinque anni dopo, il 17 agosto del 2013, il ragazzino di allora divenne uomo. Con la sua maglia numero 19 del VfB scese in campo per la prima volta in Bundesliga. Tredici minuti che divennero il tempo della sua maturità. Tredici minuti che crebbero e che divennero sessantatré il mese dopo, quando alla Mercedes-Benz Arena, lo stadio di Stoccarda, tolse il numero zero alla casella gol fatti. Una rete, la prima, quella "che non dimenticherò mai, ci pensate? Segnare nello stadio e con la maglia del mio mito": Mario Gomez.

 

Due stagioni tra campo e panchina, "perché ci vuole calma coi giovani", disse il suo allenatore di allora. Poi la promozione: titolare. Perché Vedad Ibišević era stato ceduto, perché, soprattutto, "uno come Timo è una risorsa da sfruttare". Gli propongono di lasciare il suo 19 e prendere la maglia numero 23, risponde picche: "Quello è il numero di Mario Gomez, non ne sono degno", anche perché un'ala sinistra che ogni tanto fa l'attaccante centrale, che ogni tanto segna, ma nemmeno troppo, non "deve ingannarsi di essere un grande centravanti, soprattutto qui, dove c'è stato quello più forte della storia recente della Germania". E non si offenda il tedesco Miroslav Klose, il calciatore che ha segnato di più nella storia dei Mondiali con 16 gol, ma il calcio è, soprattutto in giovane età, passione e non raziocinio.

 

Werner è veloce, ha senso della posizione, forza fisica. "Sa gestire bene la palla, ha scatto e corsa e un buon fiuto del gol", diceva di lui il suo ultimo allenatore allo Stoccarda, Alexander Zorniger. Ma in Baden-Württemberg è per tutti un'esterno d'attacco. Non della stessa opinione sono invece a Lipsia. Il Rasen Ballsport lo acquista il primo luglio del 2016, versa otto milioni nelle casse del VfB e ne promette altri quattro a fine stagione se il ragazzo segnerà almeno 12 gol. Tanti, per uno che al massimo ne aveva fatti sei. Troppi, per i tifosi dello Stoccarda che pensano che di essere stati presi in giro dalla società. Pochi, invece per Timo che in Sassonia diretto dall'austriaco Ralph Hasenhüttl inizia a impratichirsi con il ruolo di centravanti e ne piazza 21 in 31 partite.

 

 

Con i gol arriva la Nazionale maggiore (nelle giovanili era da quando aveva 14 anni che giocava). Debutto il 22 marzo 2017, settantasette minuti contro l'Inghilterra. Con la Nazionale arriva l'incontro con l'idolo, Mario Gomez. Era il 4 settembre 2017, era il Mercedes-Benz Arena di Stoccarda, era il minuto sessantasei, quando il ct della Germania richiama Werner, due gol e una prestazione straordinaria, per mandare in campo Mario Gomez a digiuno in maglia tedesca da sei mesi. Dirà Werner: "Il cambio contro la Norvegia è stato il più bello della mia vita, io fuori, Mario dentro. Sono ancora incredulo". Dirà Gomez: "Timo dominerà i prossimi dieci anni in Germania. E probabilmente anche in Europa, se continua come sta facendo. E non ha limiti. È così forte, così bravo che può diventare grandioso". L'allievo incensato dal maestro.

  

 

I due si sono dati spesso il cambio, si stimano, si coccolano a parole. Timo con la reverenza che compete a chi si trova fianco a fianco con il suo mito, Mario con la gentilezza di chi sa che il suo tempo volge verso la fine ed è pronto a contribuire nella crescita del delfino. "Non voglio mettermi in competizione con lui, sarebbe idiota. Ho detto all'allenatore che sono qui quando avrà bisogno di me. Sono totalmente d'accordo per come sta gestendo la squadra. E se ci renderà ancora campioni del mondo sarò ancora più felice", ha detto Gomez dopo la partita persa al debutto mondiale contro il Messico, nella quale ha giocato undici minuti, cinque di questi affianco a Werner.

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