L'Iran festeggia la vittoria contro il Marocco (foto LaPresse)

Veneti contro egiziani, gnomi e autogol. Il Mondiale visto da un bar di provincia

Marco Archetti

Le vittorie di Uruguay e Iran prima di Portogallo-Spagna

Premessa: a me piace la boxe. Lo sanno tutti. Solo al Foglio se ne sbattono. Io amo gli sport individuali, quelli in cui drammaticamente e gioiosamente l’epica forza di volontà del singolo jacklondoniano insorge e travalica, sfolgora e trionfa. Non che odi il calcio, sia chiaro, ma nemmeno mi sta simpatico: lo vedo come un passatempo morboso che ha sfornato sapientoni che cominciano con la Nazionale e finiscono coi vaccini, Amleti minori che prima si interrogano su una palla – “rigore o non rigore?” – e poi deragliano lapidando Juncker, e di aperi-filosofastri che metaforizzano l’aspra lotta tra Caso e Necessità attraverso un buco nella rete durante Santacruzense vs Atletico Sorocaba.

 

Perché, dunque, sono qui? Me lo chiedo anch’io. Egitto e Uruguay stanno entrando in campo e io vorrei solamente uscire, alzarmi senza pagare e fuggire a gambe levate da questo bar di provincia trevigiana, uno stambugio perlinato, deserto, putido di stracci, che ha l’aria di non aver generato nemmeno una leggenda metropolitana divertente in cinquant’anni; terrificante, ma è l’unico che trasmette le due partite che mi toccano. Tra l’altro – ho pensato – Spagna e Portogallo si affrontano di sera, quale migliore occasione per riconciliarmi col fóbal, come dicono dalle mie parti? Niet! “Egitto vs Uruguay e Marocco vs Iran!” è stato l’ukase dei satanassi di via del Tritone, che subito dopo hanno accennato ad altri match di cui – secondo loro – dovrei occuparmi, e che bah, sembrano incontri bilaterali tra staterelli più o meno canaglia, non plausibili partite di calcio. Ma insomma, in questi Mondiali del mio totale disinteresse, almeno un dato che mi entusiasma l’ho trovato: ed è che si giocano in Russia, suolo amato che ha generato tre quarti della letteratura che per me conta davvero. Accadrà qualcosa di dilettevole sulla scena di queste pagine erbose di romanzo calcistico, sulle quali si affacciano spalti di lettori schiamazzanti?

 

Il primo tempo tra Egitto e Uruguay è stato perfino meno divertente di certi capitoli de “I signori Golovlëv” di Saltykov-Ščedrin prima che venisse tradotto degnamente nella collana I Classici classici Frassinelli curata da Aldo Busi nel 1996 – l’anno dopo il Brescia avrebbe comprato il carpentiere Dario Hübner, mio unico idolo calcistico – perché l’Uruguay non ha controllato nemmeno una palla e l’Egitto, nei primi minuti raggomitolato in difesa e nel prosieguo tutto occupato a dimostrare che il suo Trezeguet non è quel Trezeguet, ha sfoggiato una prosa calcistica che di sensazionale aveva solo la piattezza. La testa di cervo imbalsamata al muro del bar aveva un’espressione più partecipe della mia, che mi sono divertito solo quando Warda l’egiziano si è prodotto nella rovesciata più sgangherata mai vista, prodezza chiusa con un inglorioso atterraggio di osso sacro, dopo il quale il fuoriclasse è restato a terra inerte diversi minuti.

 

Poi al bar è entrato un vecchio in gambali, ha guardato verso la tv e mi ha chiesto: “Goldin, se ciama queo?”. Si riferiva, giustamente, a un giocatore dell’Uruguay. “Sarà magari un de noialtri?”. Quindi s’è scolato due ombre ed è uscito. Durante il secondo tempo sono andato a prendere aria e, quando sono rientrato, la barista mi ha detto: “Siòr, siòr! I ga segna’ i veneti!”.

 

In merito a Marocco vs Iran – un marasma geopolitico arbitrato da un turco – direi che la parte più vivace è stata l’inno del Marocco: un commovente atto isterico collettivo. La partita si rivelava di un’inconcludenza più effervescente di quella veneto-egiziana, per lo meno nei primi minuti. Poi il Marocco s’è ammosciato e figuratevi io, a quel punto la mia attenzione era solo per certe surreali didascalie della telecronaca, tipo: “Omid Ebrahimi non è mai stato fuori dal suo paese”.

All’ottantesimo, nel bar è entrato un conducente di corriera. “Vengo da Asiago,” ha detto. “Ho accompagnato un asilo in gita alla casa degli gnomi”. Ho voluto sapere. “L’è stat beìsimo, sè-tu?”, mi ha confidato. “Dal comignolo delle case degli gnomi uscivano bolle di sapone!”. In quel momento il Marocco si faceva autogol, io pagavo, e sul ritorno, incredulo, in auto, continuavo a ripetermi: e chissà che faccia ha il figlio di Omid Ebrahimi.

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