Ferguson, Mourinho e Wenger (foto LaPresse)

That Win the Best

Promossi nel recupero

Jack O'Malley

Mentre a Manchester si applaude l’avversario di sempre, in Italia c’è chi vede le scie chimiche a San Siro

Manchester. Non ci credeva nemmeno lui, ha ammesso alla fine. Domenica pomeriggio Arsène Wenger è stato premiato per i suoi 22 anni all’Arsenal, squadra in cui ha vinto molto – ma non abbastanza – ma con cui soprattutto ha contribuito a cambiare il calcio moderno.

 

La cosa da non credere è che Wenger è stato premiato all’Old Trafford, prima della sfida tra i suoi Gunners e il Manchester United di Mourinho. A premiarlo è stato Sir Alex Ferguson, suo rivale per oltre vent’anni. I tifosi dei Red Devils lo hanno applaudito, sul trofeo consegnatogli in campo c’era scritto che Ferguson e Mou lo ringraziano per quanto fatto all’Arsenal in oltre due decenni. In campo poi le due squadri, rivali da sempre, se le sono date, e alla fine ha vinto lo United, lo Special One non ha lasciato la soddisfazione al manager francese di vincere la sua ultima partita in casa dei Diavoli Rossi, e lo ha fatto nel “Fergie time”, i minuti di recupero che erano garanzia di spettacolo e gol ai tempi di Ferguson allenatore. Wenger rischia di lasciare l’Arsenal a chi prenderà il suo posto (Ancelotti?) con una misera qualificazione ai preliminari di Europa League, ma l’annuncio del suo addio ai Gunners è riuscito ad addolcire tutti, costringendo tifosi e critici a parlare del Wenger degli ultimi 22 anni e non solo delle ultime 22 settimane (la semifinale di ritorno di Europa League a Madrid contro l’Atletico non promette bene, ma lasciare con una vittoria europea sarebbe bellissimo).

 

Mentre a Manchester succedeva tutto questo, l’Italia si trasformava ancora una volta nel luogo comune in cui Churchill la immortalò qualche decennio fa, cioè il paese in cui si fanno le guerre come se fossero partite di calcio e si giocano le partite di calcio come fossero guerre. Un ospedale psichiatrico senza medici e infermieri sarebbe sembrato più sano di quello che si è visto su giornali e social network dopo Inter-Juventus di sabato sera.

 

Con teorie che facevano sembrare i complottisti sulle scie chimiche dei virtuosi del metodo scientifico, gli antijuventini di tutta Italia sono riusciti a risultare più ridicoli di Fico che parla dell’amica di famiglia che gli fa le pulizie a casa. B buttando in pasto agli isterici di Twitter e Facebook le parentele del giudice di gara, improbabili labiali con frasi mai dette dal quarto uomo, sottotitolando in modo furbetto una battuta di Allegri a Tagliavento dopo la partita, e arrivando persino a teorizzare che Mandzukic si fosse tagliato prima dell’entrata di Vecino, sono riusciti a farmi rivalutare persino la prestazione del direttore di gara, in realtà orrendamente insufficiente. Del fratello di Orsato non mi ha scandalizzato il fatto che sia juventino (anche io ho un fratello laburista, ma sono pronto a prendere a bottigliate chiunque mi accusi di essere di sinistra), semmai mi inquieta la sua cafonaggine.

 


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Di Allegri non mi preoccupa il fatto che parli con il quarto uomo a fine partita, ma che sia così poco furbo da farlo davanti alle telecamere, dando in pasto ai giornalisti tifosi la scusa per urlare al complotto juventino-massonico. Certo, resta l’ironia di vedere i bianconeri accusati delle stesse nefandezze di cui poche settimane fa loro accusavano il Real Madrid, ma il calcio è in fondo uno sport cattolico: anche il peccato più grave può essere perdonato per ricominciare. Sì, anche per ricominciare a rubare. O a suicidarsi, come ha fatto il Napoli a Firenze rendendo improvvisamente inutili migliaia di labiali travisati su Facebook.

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