Gianluigi Buffon (foto LaPresse)

Il Casaleggio del calcio

Maurizio Crippa

L’uscita di scena di Gigi Buffon, pessimo personaggio pubblico piagnone con sé e moralista con gli altri

Un filo di inevitabile imbarazzo c’è, ci si sente un po’ nei panni di Napolitano quando ha maramaldeggiato sulla ciccia esanime di Renzi, nel dover rendere il dovuto a Gigi Buffon e al suo finale di carriera concluso con un tuffo dentro a una piscina vuota. L’ultimo atto di un grande atleta e di una vita da campione, questo nessuno mai gli toglierà, ma anche di una vita da personaggio pubblico passabilmente di merda. (Il personaggio pubblico: l’uomo non lo giudico, senz’altro è larger than life, e “chi siamo noi per giudicare” è la frase migliore che un Papa abbia detto). Ma il personaggio pubblico. Ha sbroccato, può capitare al calciatore. Però quando si va per i quaranta un personaggio pubblico, “l’esempio per i giovani” di tutta la retorica da sciacquone del giornalismo nazionale, farebbe meglio a evitare.

 

 

 

Il rigore, c’era o non c’era. È da mercoledì notte che rimbalza su ogni social e ogni chat di WhastApp il sardonico sfottò: “L’unica cosa storta di una sera perfetta è che il rigore purtroppo c’era”. Ma questo è il tifo, fa bene al cuore e male alla coscienza. Ed è, come ognun sa, lo specchio di tante ingiustizie arbitrali subite: dagli altri. Il motivo per cui a milioni la odiano, la Giuve. Questo Real Madrid di Torino.

 

Però Gigi Buffon, oltre a mandare a cagare a un centimetro dal grugno l’arbitro Oliver, più sperduto in mezzo al Bernabeu di Oliver Twist alla Whitechapel, e beccarsi il rosso e uscire così, tra gli strepiti e gli applausi dalla sua carriera di portierone, poi si è fatto la doccia. E davanti alle telecamere ha tolto la maschera: “Era sicuramente una azione dubbia al 93esimo, dopo che all’andata non ci hanno dato un rigore al 95esimo. Un arbitro all’altezza non infrange il sogno di una squadra che ha messo tutto in campo per 90 minuti. Ha voluto fare il protagonista. Un essere umano non può fischiare un episodio stra-dubbio dopo una gara del genere, a meno che al posto del cuore non abbia un bidone dell’immondizia. Se non hai la personalità per stare a questi livelli, allora vai in tribuna con la famiglia, compra le patatine e goditi lo spettacolo”. Poi è passato all’antropologia: “E poi non sei un uomo, queste cose qua le fanno gli animali, non gli uomini. Avrebbe dovuto capire il disastro che stava facendo”. E all’etica: “Non puoi avere il cinismo di distruggere il sogno di una squadra”.

 

Ecco, il Gigi Buffon calciatore che ha sbroccato è il calciatore che si era autocondannato alla Fornero dello sport, finché la Champions non si fosse vinta. È anche umano. Invece è il personaggio pubblico, il punto. Perché lo stesso Buffon che nella sua lunga carriera ha collezionato brocardi superomisti da osteria: “Polemiche arbitrali? Alibi di chi non vince mai”. E che nel giorno del gol di Muntari, quello che era dentro di un metro, disse, dopo la doccia: “Non me ne sono reso conto, e sono onesto nel dire che se me ne fossi reso conto non avrei dato una mano all’arbitro”. Perché Buffon ha sempre mescolato a giorni alterni il cinismo di quello che sa cos’è il calcio professionistico e il piagnisteo di quello che, quando serve, tira fuori dalle sacche lacrimali i Valori dello Sport. E anche quella cosa di piangere, del resto. Dall’Olimpico Don Andrés Iniesta è uscito in lacrime dalla storia del calcio. Standing ovation. Lui perde a Cardiff, piange. Fallisce i Mondiali, ripiange. Le standing ovation si meritano una sola volta, nella vita.

 

Il problema non è che ha dato di matto, ma che dando di matto ha tirato fuori il peggio di sé, di una concezione a doppio fondo del calcio che ha sempre coltivato, con allenamenti maniacali. Finché va bene a me, ficcatevi le regole su per il naso. Se invece va male, ah il Fato, ah quelle forze del destino. Tutta la vita, la sua è stata la doppia morale dei moralisti d’accatto. Ma i moralisti hanno sempre un lato grottesco, come il culo della scimmia. Dire che l’arbitro non può rovinare un sogno, si finisce per sembrare Veltroni (che è gobbo, appunto). Poi, ore dopo, non pago e in pieno delirio d’onnipotenza, dal fondo della piscina vuota ha ricominciato a scavare: “L’arbitro doveva accettare i miei insulti. Ha commesso un crimine contro l’umanità sportiva”. L’umanità sportiva, sic. E qui, altro che Veltroni, sembra Davigo. Poteva anche aggiungere: “Non ci sono arbitri onesti, ma solo venduti che non sono ancora stati scoperti”. Con le sue lacrime da coccodrillo, Gigi Buffon esce dal calcio per quello che è: il Casaleggio del calcio. Uno per cui valgono le regole e la forca, ma solo finché colpiscono gli avversari. Solo che stavolta era rigore.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"